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ugo foscolo - le ultime lettere di jacopo ortis - i miti della patria, della politica e della liberta'

Proseguendo nel suo vagabondare Jacopo perviene a Genova e poi a Ventimiglia, presso i confini d'Italia. Qui, sulle sponde del fiume Roja, contemplando lo spettacolo maestoso e orrido insieme delle Alpi si immerge in amare e desolate meditazioni, che dalla tragedia d'Italia si allargano al destino dei popoli e degli uomini tutti fino alle alterne e incessanti vicende del cosmo.

Partendo dal sensismo e dal materialismo settecentesco il Foscolo approda qui a una concezione pessimistica e fatalistica della vita: essa è soltanto movimento della materia, di essa si può soltanto descrivere la fenomenologia che lega, deterministicamente, le sensazioni alle idee più complesse, ma essa non ha un fine, un perchè, una causa.
Il moto perenne della materia, che tutto trasforma, non è dunque illuminato e giustificato da una luce razionale.

E, naturalmente, in questo mondo senza ragione e senza speranza si rilevano falsi e bugiardi tutti i grandi ideali degli uomini: la libertà, la giustizia, l'immortalità e così via.
Jacopo, che in una lettera precedente (15 maggio 1798) aveva ancora esaltato il valore delle illusioni, come sole capaci di dare un senso alla vita ("Illusioni! ma intanto senza di esse io non sentirei la vita che nel dolore"), arriva qui a vanificare ogni speranza e ad approdare alle soglie della morte.