QUESTA È UNA RACCOLTA DI NOTIZIE E FATTI STORICI, ADATTA PER RICERCHE SCOLASTICHE E PER ARRICCHIRE IL PROPRIO BAGAGLIO CULTURALE.

1851 LA RIFORMA DELLA TARIFFA DOGANALE

Il 4 luglio 1851 venne promulgata la legge di riforma della tariffa doganale del Regno di Sardegna, che ribassava sensibilmente i dazi sulle importazioni di 605 articoli, tra cui derrate alimentari e prodotti manifatturieri.
Venne inoltre previsto l’esonero dal pagamento del dazio per il cotone e le lane, per i minerali di ferro e rame, per i concimi e il foraggio. Il dazio a 2,5 l’ettolitro e la tariffa rimase in vigore sino al gennaio 1854, quando, in seguito a tumulti popolari dovuti a una carestia, scomparve del tutto.
Fu infine abolito il porto franco di Nizza, dove dal 1613 qualunque tipo di merce non veniva sottoposto ad alcun dazio in entrata o uscita, suscitando vivaci polemiche da parte della sinistra e dei deputati locali.
La legge di riforma doganale non fu un provvedimento isolato, ma l’atto conclusivo di una svolta della politica economica sabauda in senso decisamente liberistico, già iniziata con i trattati commerciali stipulati con l’Inghilterra (3 gennaio 851) e con il Belgio (27 febbraio 1851).
Alla fine del 1852, approvata la nuova tariffa doganale e siglati accordi commerciali con dieci paesi europei, il Piemonte si lasciò definitivamente alle spalle la politica protezionistica che aveva caratterizzato gli anni successivi alla restaurazione.

LA TRIPLICE ALLEANZA

Nel maggio 1882, stipulando il trattato della Triplice alleanza con la Prussia e l’Austria, l’Italia si inseriva nelle scacchiere politico internazionale. Il trattato, di carattere puramente difensivo, rimase ufficialmente segreto fino alla prima guerra mondiale, ma la notizia della sua esistenza si era diffusa già nel 1883.
Esso contribuì a orientare in senso conservatore e militarista gli indirizzi della politica interna italiana. Lo stesso preambolo indicava infatti come obiettivo comune dei tre sovrani il rafforzamento del principio monarchico e dell’ordine sociale. Veniva così sanzionato il definitivo distacco della politica governativa italiana dal movimento irredentista e dalle istanze patriottiche di compimento dell’unità nazionale, legate ai valori risorgimentali.
Per l’Italia l’adesione alla Triplice alleanza aveva inoltre una chiara connotazione anti-francese, da porre in relazione con l’atteggiamento della Francia in difesa delle rivendicazioni pontificie e con la sua recente occupazione di Tunisi, verso cui anche l’Italia aveva mostrato delle ambizioni. Il trattato consolidava il sistema di sicurezza di Austria e Germania, che si assicuravano la neutralità e l’appoggio italiano nel caso di conflitti con la Russia e la Francia, mentre per il nostro paese il più immediato vantaggio riguardò la questione romana, in quanto l’integrità territoriale raggiunta dopo il 1871 veniva riconosciuta implicitamente anche dall’Austria, la massima potenza cattolica.

CARLO ALBERTO

Figura certamente fra le più discusse e contradditorie del risorgimento italiano, Carlo Alberto (Torino, 2 ottobre 1798-Oporto, Portogallo, 28 luglio 1849) venne a trovarsi, a partire almeno dal 1845, al centro delle speranze dei moderati italiani. Il suo passato non era dei più rassicuranti.
Di carattere profondamente indeciso, turbato da angosce religiose, seppure animato da un grande desiderio di gloria e da una profonda fede nel proprio destino eroico, Carlo Alberto si era trovato a gestire in qualità di reggente i moti del marzo 1821. In quella occasione aveva promesso il suo appoggio ai liberali, ma li aveva poi abbandonati per sottomettersi agli ordini  dello zio Carlo Felice. Aveva poi cercato di farsi perdonare i cedimenti liberali giovanili e aveva dato ripetute prove di legittimismo, combattendo i costituzionalisti spagnoli e soprattutto, una volta salito al trono del Regno di Sardegna nel 1831, perseguitando in modo implacabile i mazziniani coinvolti nei moti del 1831-1834.
I contemporanei lo dipingevano come un debole, dispotico e capriccioso, incapace di prendere decisioni, ma i moderati che cercavano una via non rivoluzionaria all’indipendenza italiana riponevano in lui le loro maggiori, se non uniche, speranze.
Dopo la grande repressione degli affiliati alla Giovine Italia, Carlo Alberto aveva cercato di mantenersi al potere con una politica di mediazione fra reazionari e liberali, facendo convivere nel suo governo uomini come Solaro della Margherita e Pes di Villamarina.
Aveva avviato una politica di moderate riforme, ma senza rimettere in discussione l’assolutismo, e aveva finito con l’essere guardato con sospetto dai progressisti senza aver riacquistato la fiducia dei reazionari.
Solo l’adesione al programma neoguelfo, dopo il 1845, gli permise di riconquistare una certa popolarità. Nel 1847, nonostante le riserve di molti, Carlo Alberto continuava ad apparire ai moderati l’unico che potesse liberare l’Italia dall’Austria, evitando il ricorso alle rivoluzioni dei popoli.

LUIGI DE’ MEDICI

Nel restituire a Ferdinando IV di Borbone l’Italia meridionale, il primo ministro austriaco Klemens von Metternich e quella inglese Robert Stewart Castlereagh, memori delle stragi del 1799, si erano preoccupati di impedire gli eccessi della reazione. A interpretare le spinte più moderate e riformatrici fu chiamato il primo ministro Luigi de’ Medici, di formazione illuministica (era nato a Napoli nel 1759, morì a Madrid nel 1830), già interprete alla fine del Settecento di alcune delle istanze più avanzate del dispotismo illuminato e persino caduto in sospetto di giacobinismo, nel 1793-1794.
Grazie alla sua influenza, il principe di Canosa fu obbligato a rassegnare le dimissioni, la setta reazionaria dei Calderari fu posta fuori legge, le truppe d’occupazione austriache dovettero lasciare Napoli. Secondo Luigi de’ Medici occorreva mantenere, con alcune modifiche, le riforme varate nel periodo francese e aumentare l’efficienza dell’amministrazione con un’opera di centralizzazione e di unificazione delle due parti del regno.
Furono quindi estese alla Sicilia la legislazione e l’amministrazione napoletane, sostanzialmente rimaste quelle di Murat, che spazzavano via coraggiosamente, con l’opposizione della nobiltà isolana, un antico e tenace regime feudale. Tasse moderate, protezionismo doganale, buone leggi e buona amministrazione erano, a giudizio di Luigi de’Medici, il mezzo sicuro per assicurarsi l’appoggio dell’opinione pubblica, un appoggio che fu raggiunto tuttavia soltanto in alcuni ambienti ristretti della borghesia liberale.