la cultura italiana nell'eta' napoleonica
Il panorama letterario di quest'area appare scisso in aspetti contradditori.
Da un lato sopravvive la vecchia cultura accademica e cortigiana. Essa celebra i nuovi miti e i nuovi eventi, rispolvera l'antica mitologia, le risorse d'una consumata eloquenza per "abbellire" la realtà; è letteratura d'evasione fantastica, che elude i problemi reali della vita, costruendo per lo scrittore una torre d'avorio, o è servilmente adulatoria.
Dall'altro lato ci sono gli scrittori più seri che vivono la crisi del tempo fra Illusionismo e Romanticismo: avvertono il fallimento dell'astratto razionalismo illuministico e della sua promessa di una facile e rapida felicità per gli individui e per i popoli, reagiscono al materialismo e al sensismo, scoprono l'importanza della religione e delle forze irrazionali operanti nella storia, ricercano in essa il senso d'una continuità, di una tradizione e di una legge di progresso che ne regoli lo svolgimento, e proclamano il valore delle particolarità individuali e nazionali.
I nostri intellettuali migliori si sforzano di dare alla nostra cultura una maggiore impronta di italianità, conformemente al destarsi d'una coscienza nazionale che appare in contrasto con la politica napoleonica, nei più importanti stati europei. A Milano capitale del Regno Italico gli esuli napoletani della Repubblica Partenopea (Vincenzo Cuoco, Francesco Lomonaco) fanno conoscere e diffondono il pensiero del loro compatriota, il Vico, precursore della romantica concezione della storia, intesa come svolgimento organico e progressivo, ed assertore della centralità del sentimento e della fantasia nella creazione poetica.
Frattanto Alfieri comincia a diventare un maestro per le nuove generazioni; la sua polemica antifrancese, il suo incitamento alla libertà, la sua fede nei destini dell'Italia, che dalla memoria del passato glorioso si proietta nell'attesa d'un grande avvenire, sono un chiaro incitamento in senso nazionale ed unitario.
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