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la questione della lingua: il purismo

Il ravvivarsi della tradizione nazionale si manifesta anche nel rinascere della questione della lingua, intesa come questione di arte e di stile, come lingua scritta, non parlata.
Si ha ora una maggiore consapevolezza che questo problema coinvolge quello dell'unità culturale italiana ed è espressione, come affermava il Monti di uno spirito di nazione e che la lingua comune è l'unico tratto di fisionomia che ci conservi l'aspetto di una ancor via e sola famiglia. Intenzione comune è quella di reagire alla rozzezza dei prosatori dell'ultimo Settecento e al loro uno indiscriminato di francesismi, attuando un ideale di prosa classicamente elaborato e più conforme alle tradizioni espressive e al genio della lingua italiana, e legata, al tempo stesso, alla vita moderna europea.
Anche qui le soluzioni proposte riflettono il contrasto dell'epoca fra il vecchio e il nuovo, fra un tradizionalismo meschino e municipale e uno moderno e progressivo. Al primo appartengono i puristi di stretta osservanza come Basilio Puoti, padre Antonio Cesari, maestro del purismo che propose il ritorno ai modi e al lessico del Trecento, strumento adeguato, per tutte le esigenze della cultura moderna.
Più viva e moderna fu quella di Pietro Giordani, che unì a un moderato purismo linguistico una concezione classica dello stile. Nella sua prosa volle unire lingua del Trecendo e stile greco, che non fu senza effetto sul giovane Leopardi.