QUESTA È UNA RACCOLTA DI NOTIZIE E FATTI STORICI, ADATTA PER RICERCHE SCOLASTICHE E PER ARRICCHIRE IL PROPRIO BAGAGLIO CULTURALE.

DINO BUZZATI: LA FAMOSA INVASIONE DEGLI ORSI IN SICILIA

L'AUTORE
Giornalista famoso, autore di libri di grande successo come Il deserto dei tartari, Dino Buzzati sosteneva - un pò per scherzo e un pò sul serio - di essere un pittore che di tanto in tanto scriveva. In verità questa storia di orsi e di persone, pur letterariamente assai pregevole, ha il suo motivo di maggior fascino nelle illustrazioni che la accompagnano, opera appunto di Buzzati. Anzi il testo rimanda continuamente alle figure, e viceversa, al punto che l'uno non potrebbe vivere senza le altre. Nato a Belluno nel 1906, morto a Milano a 66 anni dopo aver trascorso tutta la sua vita di lavoro come redattore e inviato speciale del Corriere della Sera, Dino Buzzati è una figura a sè nel mondo artistico italiano. Abilissimo nel trasfigurare la realtà, nei romanzi come nei racconti e nei quadri, fu al tempo stesso un cronista acuto e fedele, amatissimo dai lettori.

LA TRAMA
"Nel tempo dei tempi, quando le bestie eran buone e gli uomini empi", la Sicilia non assomigliava a quella che conosciamo. In tutta l'isola si alzavano montagne impotenti e aguzze, con le cime coperte dal gelo: solo i vulcani sparsi qua e là avevano la forma di pani. Uno esiste ancora, e continua a buttare fumo (l'Etna): non si vedono invece più gli orsi che in quell'epoca popolavano le caverne. Gli orsi avevano un re saggio e coraggioso, di nome Leonzio, il cui figlioletto Tonio viene rapito prima ancora che cominci la storia. Per cercarlo, l'esercito degli orsi scende in pianura. Conquista il castello dell'orco Troll, difeso dal terribile Gatto Mammone, e invade il regno del Granduca, dove il povero Tonio veniva usato per divertire il pubblico come orso equilibrista. Bestie e uomini vivono insieme per anni, ma a poco a poco gli orsi prendono le cattive abitudini degli esseri umani. Giocano, si ubriacano, rubano: e uno di loro tenta addirittura di uccidere il re. Prima di morire, Leonzio convince i suoi guerrieri a tornare sulle montagne: e forse sono ancora là, ma noi non conosciamo i loro segreti.

IL PROTAGONISTA
Prima di iniziare il suo racconto, Buzzati ne elenca i personaggi, alla maniera degli autori di libri gialli: e alcuni sono effettivamente dei protagonisti, altri compaiono per una sola riga (un gufo che lancia il suo urlo nella notte) o addirittura mai (il Lupo Mannaro, che nessuno sa cosa possa combinare). In testa a tutti dovrebbe venire dunque Re Leonzio: ma se vogliamo cercare il tipo più straordinario, questi è certamente una curiosa figura di mago, il professore De Ambrosiis, la cui bacchetta magica può compiere soltanto due prodigi. Quest'uomo altissimo e magro, la cui figura è prolungata da un'enorme tuba, tradisce spesso il re e vorrebbe fare i due incantesimi a suo esclusivo vantaggio: ma una volta per salvarsi da un branco di cinghiali, che ha trasformato in palloni, un'altra volta per salvare generosamente il figlio di Leonzio, il professore esaurisce la sua scorta di miracoli. Da ultimo riesce a costruirsi una nuova bacchetta magica: e chissà che un giorno, se gli capita una malattia, non la possa usare.

L'ORSACCHIOTTO MORENTE
Abbiamo detto che Buzzati è un narratore diverso da tutti gli altri. Riassumere la sua prosa significherebbe di conseguenza snaturarla, togliendone l'incantevole semplicità. Dovendo quindi estrarre una pagina della storia degli orsi, la scelta più sensata è di trascriverla.

Siamo a metà del libro quando Re Leonzio, che ha appena ritrovato il figlio, teme di perderlo subito. Infatti il malvagio Granduca ha sparato al suo prigioniero, provocandogli una ferita che ha tutta l'aria di essere mortale. Che fare? Arriva nel salone del castello la colomba della bontà e della pace, ma tutti la guardano male perchè è capitata proprio nel momento sbagliato. Non resta dunque che rivolgersi al professore De Ambrosiis, il quale ormai dispone di un solo incantesimo. Lo sacrificherà per salvare la vita del giovane orso? E qui lasciamo la parola a Buzzati.
"Adesso voi naturalmente non ci crederete, direte che sono storie, che queste cose succedono soltanto nei libri e così via. Eppure alla vista dell'orsacchiotto morente, l'astrologo sentì un improvviso dispiacere per tutte le canagliate commesse in odio a Re Leonzio e ai suoi orsi (gli spiriti, il Gatto Mammone), ebbe l'impressione che qualcosa gli bruciasse nel petto e, forse anche per il gusto di fare bella figura e di diventare una specie di eroe, trasse di sotto la palandrana la sua famosa bacchetta magica - ma come gli dispiaceva - e cominciò l'incantesimo, l'ultimo della sua vita. Poteva procurarsi montagne d'oro e castelli, diventare re e imperatore, sconfiggere eserciti e flotte, sposare principesse indiane: tutto avrebbe potuto avere con quell'estremo sacrificio. E invece "Fàrete", disse lentamente, e scandiva le sillabe, "Fàrete finkete gamorrè àbile fàbile dominè brùn stin màiela prit furu toro fifferit".
"Allora l'orsacchiotto riaprì tutti e due gli occhi e si levò diritto senza più traccia del buco fatto dalla pallottola (solo si sentiva un poco debole per la perdita del sangue), mentre Re Leonzio, come impazzito dalla gioia, si metteva a ballare da solo sul palcoscenico. E la colomba, finalmente soddisfatta, ricominciava a svolazzare di qua e di là più allegra che mai. Altissimo si levò il grido: "Evviva il professore De Ambrosiis!".
"Ma già l'astrologo era sparito. Sgusciato fuori dalla porticina del palco, correva a casa stringendo la bacchetta ormai inutile, e non avrebbe saputo lui stesso dire se malinconico o stranamente felice".