1861: LA PROCLAMAZIONE DEL REGNO D'ITALIA
Nel 1861 l'Italia non è più un mosaico di Stati. Scomparsi i ducati e i granducati in Emilia e Toscana, ridotto il dominio pontificio alla sola zona del Lazio, tramontate da Napoli a Palermo le fortune dei Borboni, solo il Veneto e Roma mancano a completare l'unità della Penisola. E' in quest'anno che viene decisa la proclamazione del Regno d'Italia. Il conte di Cavour, primo ministro del re piemontese Vittorio Emanuele II, aveva giocato molto abilmente alleandosi con la Francia contro l'Austria. Nel 1859 aveva sfidato la potenza viennese facendo pronunciare al sovrano una frase rimasta famosa: "Mentre rispettiamo i trattati, non possiamo restare insensibili al grido di dolore che da tante parti d'Italia si leva verso di noi". Confermato così pubblicamente che Torino appoggiava i moti di indipendenza nelle altre regioni italiane, era naturale che scoppiasse la guerra.
Le ostilità contro l'Austria cominciarono il 28 aprile 1859: dopo una prima vittoria a Magenta e l'ingresso trionfale a Milano, i franco-piemontesi batterono le forze imperiali a San Martino e Solferino. Non si trattò, per Cavour, di un successo totale. Sebbene i patti iniziali fossero diversi, i francesi lasciarono l'Austria la regione triveneta e chiesero per sè Nizza e la Savoia. Nizza era la patria di Garibaldi, che si oppose inutilmente; la Savoia era addirittura la culla dei re chiamati appunto sabaudi. Ma a compensare queste delusioni sopravvenne l'epica impresa dei Mille di Garibaldi: nel 1860 venne conquistato il Regno delle Due Sicilie, e un grande plebiscito ne segnò l'annessione all'Italia. Nella stessa forma passavano sotto il controllo piemontese anche l'Umbria e le Marche.
Cavour aveva lavorato per l'Italia unita, pur rendendosi conto che l'integrazione delle zone meridionali non sarebbe stata facile. Così Cavour agì in maniera apparentemente contradditoria. Da una parte agì per dissipare l'impressione di un Piemonte che si annetteva altre terre, quasi fossero state delle colonie. Nello stesso tempo però fece approvare, nell'ottobre 1860, una legge elettorale che assegnava in pratica i maggiori privilegi al Nord. Ridusse il numero dei deputati, limitò il diritto di voto ai cittadini maschi che avessero più di 25 anni e pagassero almeno quaranta lire - somma notevole a quei tempi - d'imposta all'anno. Il risultato fu che potè votare appena il 2 per cento della popolazione. E poichè i dirigenti cattolici lanciarono la parola d'ordine "nè eletti nè elettori", mostrando così la loro avversione sia per Cavour sia per Garibaldi - entrambi impegnati per conquistare Roma -, alla fine votarono soltanto 240 mila dei 418 mila aventi diritto, su 22 milioni di cittadini.
Con questa legge elettorale Cavour aveva favorito i cittadini del Nord, più ricchi, a spese di quelli meridionali. La conseguenza fu che nelle zone del Sud i piemontesi si comportarono da conquistatori e nelle zone annesse esplosero ribellioni di contadini, fino a forme molto gravi di banditismo.
Un altro elemento di divisione fu poi la questione cattolica, Pio IX considerava i piemontesi come degli usurpatori.
In questa complessa situazione Cavour si comportò con maestria. Offrì al Pontefice quella che sarebbe stata poi la soluzione finale ossia "libera Chiesa in libero Stato": fine del dominio secolare dei Papi, ma libertà religiosa pienamente garantita dallo Stato italiano. Molti cattolici, come si vide dall'andamento delle elezioni, mantennero verso l'unità d'Italia un atteggiamento di distacco. Nessuno comunque poteva opporsi al disegno di Cavour. E il 14 marzo 1861 viene finalmente proclamato il Regno d'Italia, sovrano Vittorio Emanuele.