COLLODI: PINOCCHIO
L'AUTORE
Collodi è un borgo di Pescia, cittadina toscana. Carlo Lorenzini, nato a Firenze nel 1826, e là morto nel 1890, prese questo pseudonimo perchè a Collodi era nata sua madre. Combattente nelle guerre di indipendenza del '48 e del '59, Lorenzini fece l'impiegato, poi a tratti il giornalista, scrivendo anche commedie con scarsa fortuna. Pinocchio, il suo capolavoro, famoso nel mondo intero alla pari di Alice nel paese delle meraviglie, nacque per combinazione nel 1881. Una rivista per ragazzi aveva bisogno di un racconto a puntate; lo scrittore aveva bisogno di soldi. Più scriveva più guadagnava; così le puntate durarono un anno e mezzo. Collodi le scriveva svogliatamente, mai immaginando lo straordinario successo che ne sarebbe seguito.
LA TRAMA
La trama di Pinocchio la conoscono tutti. Maestro Geppetto, il pezzo di legno parlante, il burattino cui comincia subito ad allungarsi il naso, come si usa dire per i grandi bugiardi: fin dall'inizio del libro assistiamo a una sfilata di simboli destinati a entrare ne linguaggio e nel costume popolare. Ancora oggi diciamo "il gatto e la volpe" senza pensare più alla coppia di lestofanti che prima deruba e poi impicca Pinocchio. Diciamo "il paese dei balocchi" riferendoci a una pericolosa illusione, quasi dimenticando l'avventura con Lucignolo. E il Grillo Parlante, la Fata dai capelli turchini, il burattinaio Mangiafuoco, il giudice Acchiappacitrulli? Da oltre un secolo, questi straordinari personaggi resistono, con la prospettiva di durare assai più che non Batman o l'Uomo Ragno. Nessuna generazione, pur nel mutare delle mentalità e dei sistemi educativi, è sfuggita al loro influsso: al punto che Pinocchio, diventato un "ragazzino perbene", non interessa più e si rimpiange lo scavezzacollo di legno.
IL PROTAGONISTA
Pinocchio è un burattino che pensa e si muove come un ragazzo: ma burattino rimane, e sono gli altri che manovrano i fili. Per quasi tutto il libro la sorte è crudele con lui. Incontra una coppia di lestofanti e assassini come il Gatto e la Volpe. Sono cattivi i gendarmi e il giudice, i padroni e gli amici. Quando compare qualche personaggio ben intenzionato, tipo il Grillo Parlante, non è tanto la buona coscienza che gli viene in soccorso quanto un maestro che lo tratta dall'alto. In verità quella di Pinocchio è una storia narrata con freddezza, quasi con crudeltà, certamente con tanta amarezza. Dietro l'apparenza del sorriso c'è uno scrittore che non crede alla propria fortuna e trasferisce il suo pessimismo nella vicenda del burattino.
GEPPETTO IN PRIGIONE
Par di capire che, nel secolo scorso, la giustizia avesse problemi analoghi a quelli che si lamentano oggi, con criminali in libertà e innocenti in galera. A due riprese Pinocchio si trova di fronte i tutori dell'ordine, una volta un carabiniere e un'altra volta un giudice. E in entrambe le situazioni paga chi non ha colpa.
Non appena Mastro Geppetto gli ha scolpito nel legno gambe e piedi, il burattino scappa per strada. Il povero falegname lo insegue ma non riuscirebbe ad acchiapparlo senza l'aiuto appunto di un carabiniere, che afferra il fuggitivo per lo smisurato naso e lo riconsegna al vecchietto. Questi vorrebbe dargli almeno una tiratina d'orecchie, ma non può perchè si è dimenticato di costruirgliele. Allora prende Pinocchio per la collottola, riservandosi di fare i conti a casa.
Temendo allora di buscarle, il burattino si butta a terra e i curiosi in strada cominciano a commiserarlo. Ma cosa vuole quell'omaccio? Pare un galantuomo, invece è proprio un tiranno, capace di fare a pezzi l'infelice burattino.. "Insomma, tanto dissero e tanto fecero, che il carabiniere rimise in libertà Pinocchio e condusse in prigione quel pover'uomo di Geppetto".
Nella seconda e ancora più disgraziata avventura, Pinocchio va a reclamare perchè il Gatto e la Volpe gli hanno portato via i soldi. E seguiamo adesso l'udienza.
"Il giudice era uno scimmione della razza dei Gorilla: un vecchio scimmione rispettabile per la sua grave età, per la sua barba bianca e specialmente per i suoi occhiali d'oro, senza vetri... Pinocchio, alla presenza del giudice, raccontò per filo e per segno l'iniqua frode, di cui era stato vittima; dette il nome, il cognome e i connotati dei malandrini, e finì col chiedere giustizia.
Il giudice lo ascoltò con molta benignità: prese vivissima parte al racconto: s'intenerì, si commosse: e quando il burattino non ebbe più nulla da dire, allungò la mano e suonò il campanello.
A quella scampanellata comparvero subito due can mastini vestiti da gendarmi.
Allora il giudice, accennando Pinocchio ai gendarmi, disse loro: - Quel povero diavolo è stato derubato di quattro monete d'oro: pigliatelo dunque e mettetelo subito in prigione".