LA SCOPERTA DELL’AMERICA – PARTE 7
Prima di toccare Palos alla fine del viaggio di ritorno, Colombo scrisse una lettera-racconto delle sue scoperte. La intitolò De insulis inventis (le isole trovate) e la spedì a corte. La lettera, il primo esempio di una cronaca scritta a ridosso dei fatti, suscitò grande emozione e fu fatta stampare in più copie per essere inviata ai più importanti personaggi dell’epoca.
Quando arrivò a Cuba, il 27 ottobre 1492, Colombo si convinse di essere giunto nel Catai, in Cina, dove, secondo Marco Polo, sorgevano città con palazzi dai tetti d’oro. Organizzato un commando di pochi uomini guidati dall’interprete Luis de Torres, affidò loro una lettera di presentazione per l’imperatore dei Mongoli e li inviò in avanscoperta. Dopo alcuni giorni di marcia la pattuglia arrivò in un villaggio di povere capanne abitate da indigeni primitivi che avevano una strana abitudine, quella di fumare delle grandi foglie arrotolate che infilavano nel naso. Altri le reggevano in mano come tizzoni ardenti e “bevevano” il fumo che emanavano. Le chiamavano tobacos. Si trattava proprio del tabacco. Gli spagnoli provarono a fumarlo e ne furono entusiasti. Nel giro di un secolo tutta l’Europa fumerà o fiuterà tabacco. Ma Cristoforo Colombo, tutto intento a cercare l’oro del mitico Catai, non si accorse nemmeno di aver scoperto una pianta che avrebbe fruttato miliardi.
Durante la traversata da San Salvador a Cuba, gli spagnoli scoprirono le amache. Colombo le descrisse così nel suo diario: “Letti simili a reti di cotone, in forma di bretella”. La trama dei fili incrociati ricordava “i setacci che si fabbricano a Siviglia con lo sparto. E’ molto riposante dormirvi”. I marinai le utilizzarono immediatamente a bordo delle caravelle. Nella marina italiana sono state abolite soltanto dopo la seconda guerra mondiale.
Nel viaggio di ritorno, le due caravelle superstiti incapparono in una terribile bufera al largo delle Azzorre. Si spaventò anche Colombo che, temendo di scomparire inghiottito dai flutti, compilò in fretta e furia un resoconto della spedizione su fogli di pergamena che avvolse in tela cerata e, sigillatili in un barilotto, gettò in mare. Nessuno mai li recupererà, ma più d’uno proverà a spacciarne copie false. Nel 1892, un imbroglione gallese mise in vendita il “vero e originale” memoriale di Colombo. Quel resoconto aveva solo un piccolo difetto: era scritto in lingua inglese, lingua che l’Ammiraglio genovese non conosceva affatto.
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