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L'ASSEDIO DI TROIA

Si chiama Hissarlik, che in turco significa fortezza. E' una collina brulla, spazzata dal vento e alta una trentina di metri, che si specchia nel mare dove l'Egeo comunica con il Mar di Marmara attraverso lo stretto dei Dardanelli. C'è chi assicura che questa collina, solcata da una ragnatela di scavi, racchiude una storia eroica e una leggenda che si rinnova a distanza di 3200 anni. Quelle pietre forse appartenevano a una città che continua a stimolare la fantasia degli uomini: Troia o Ilio.

Omero ha narrato nell'Iliade soltanto gli ultimi cinquanta giorni della lunga guerra di Troia, presumendo che chi lo ascoltava conoscesse  gli eventi precedenti. Il poeta del resto, è vissuto quasi certamente nel nono secolo prima di Cristo, ossia due o trecento anni dopo l'assedio: ha avuto quindi la possibilità di raccogliere qualche prova storicamente valida.

Noi ci fermiamo alle fonti dell'archeologia troiana che si identifica con il nome di Heinrich Schliemann, il grande archeologo tedesco morto a Napoli nel 1890. I suoi scavi a Hissarlik portarono alla luce statue, vasi e gioielli di foggia non greca (Il tesoro di Priamo), databili intorno al 2000 a.C. e quindi molti secoli prima della guerra di Troia. Nel fervore delle ricerche, Schliemann era sceso troppo nelle viscere della terra, scoprendo non Ilio, ma una città più antica e più progredita di quella cantata da Omero. E sotto quella ce n'era unìaltra, preistorica, e sopra altre sette. Tra queste si localizzò finalmente quella omerica, al settimo strato, partendo dal basso. E qui si scoprirono tracce di un incendio, lo stesso che - come racconta Omero - distrusse la città dopo nove anni d'assedio. Era il 1184 a.C. e cioè tarda età del bronzo, quando i Greci avevano solo armi di questo metallo.

Troia sorgeva in posizione ideale per dominare le vie commerciali, come una sentinella dell'Ellesponto dal quale giungevano l'oro, l'argento, il legname per la costruzione delle navi, il lino, la canapa, il pesce secco, l'olio e soprattutto il grano a buon mercato. Gli scavi confermano che era una prospera città "dalle belle mura" e dalle "larghe strade".

Schliemann, forse abbagliato dall'oro che aveva trovato, pensava a trecentomila abitanti: altri archeologi, più realistici, parlano di "un nido di pirati" con circa cinquecentomila persone. Gli scavi rivelano che al momento dell'incendio Troia era sovraffollata e aveva molte abitazioni d'emergenza: forse le case degli alleati e dei rifugiati dalla campagne, fuggiti di fronte al dilagare dei Greci dopo lo sbarco. Ma ancora più drammaticamente rivelatori sono i ritrovamenti degli scheletri in posizione innaturale, appartenenti a persone morte combattendo. In una taverna, fra oggetti di cucina e una macina per la farina, è stato trovato il cranio sfondato di un uomo. Ovunque tracce di saccheggio. Ancora eretti, invece, tratti di mura maestose, con torri larghe 18 metri e porte abilmente angolate in modo da esporre l'assediante al tiro dei difensori. Contro quelle mura ben poco potevano le armi di allora: lance, spade, pugnali, archi e frecce. Nella guerra d'assedio Troia fu distrutta forse grazie a una torre mobile di legno ricoperta da pelli bagnate di cavallo contro le quali si spegnevano le frecce incendiarie.
La leggenda del cavallo - tranello inventato da Ulisse - si diffuse piuttosto tardi. I più antichi commentatori di Omero sono propensi a credere che si trattasse di una macchina per abbattere le mura. Altri pensavano addirittura a un cavallo dipinto sulla porta secondaria della città, aperta ai greci dal traditore troiano Antenore.