CESARE LOMBROSO
Le teorie di Cesare Lombroso (Verona 1835 – Torino 1909) segnarono profondamente il pensiero medico e criminologico negli anni del positivismo. Laureato in medicina nel 1858, si arruolò come ufficiale medico e, dopo l’unità, partecipò a una spedizione contro il brigantaggio in Calabria, dove iniziò i suoi studi antropologici sui delinquenti.
Dopo un periodo di insegnamento universitario a Pavia, interrotto nel 1871-1872 dall’attività di direttore del manicomio di Pesaro, nella quale Lombroso si distinse per la battaglia in favore dell’istituzione dei “manicomi criminali”, intesi come ospedali speciali per i delinquenti malati di mente, vinse la cattedra di medicina legale a Torino, dove si trasferì nel 1876. In quell’anno pubblicò il Trattamento antropologico-sperimentale dell’uomo delinquente, in seguito riedito e tradotto in diverse lingue, accrescendo notevolmente la sua fama italiana e internazionale. Le teorie lombrosiane, basate in una prima fase su un esame quasi esclusivamente fisico e “morfologico” dei delinquenti volto a delineare le diverse “specie” devianti, divennero in seguito più complesse grazie alla maggiore attenzione prestata agli aspetti psicologici e sociali della personalità dei soggetti studiati, per influsso soprattutto dell’impostazione sociologica del socialista Enrico Ferri. I critici non gli perdonarono però alcune idee cardine delle sue dottrine, fra cui l’esistenza di un “tipo criminale”, originato da fattori degenerativi ereditari, l’identificazione fra epilessia e delinquenza congenita, la poca considerazione per i fattori ambientali. Dal 1880 Lombroso pubblicò l’Archivio di psichiatria, antropologia criminale e scienze penali. Negli ultimi anni si iscrisse al PSI, occupando per un breve periodo la carica di consigliere comunale a Torino.