QUESTA È UNA RACCOLTA DI NOTIZIE E FATTI STORICI, ADATTA PER RICERCHE SCOLASTICHE E PER ARRICCHIRE IL PROPRIO BAGAGLIO CULTURALE.

1868 – L’IMPOSTA SUL MACINATO

La guerra del 1866 con l’Austria aveva comportato, per l’economia italiana, un forte aggravamento del disavanzo del bilancio, conseguenza inevitabile del cospicuo aumento delle spese straordinarie. Il deficit, che raggiunse in quell’anno la somma di 721 milioni, venne in gran parte coperto dai prestiti della Banca nazionale, ottenuti grazie all’imposizione del corso forzoso della moneta. Nel quadro di una manovra economica complessiva, volta a ottenere il pareggio del bilancio, vennero varate altre misure straordinarie, quali il passaggio del monopolio dei tabacchi dalla gestione diretta dello Stato alla cointeressenza, un aumento delle imposte sulla proprietà fondiaria, e soprattutto l’imposta sulla macinazione dei cereali.

Difesa accesamente alla Camera da Cambray-Digny e da Quintino Sella e promulgata il 7 luglio 1868, quest’ultima fu un’imposta sui consumi che pesò fortemente sull’economia delle popolazioni rurali, particolarmente sottoposte a controllo, poiché l’imposta doveva essere pagata direttamente al mugnaio, prima del ritiro delle farine.

Contro l’applicazione dell’imposta sul macinato sin dal gennaio 1869 si verificarono agitazioni e rivolte contadine in quasi tutta la penisola, con picchi particolarmente gravi in Emilia. Si calcola che, complessivamente, i moti costarono più di 250 morti e un migliaio di feriti. Se l’imposta si dimostrò talmente impopolare da poter essere considerata uno dei fattori che determinarono la sconfitta della Destra storica, essa costituì tuttavia nel corso degli anni successivi un indubbio successo dal punto di vista economico, contribuendo a rendere possibile il risanamento finanziario dello Stato.