QUESTA È UNA RACCOLTA DI NOTIZIE E FATTI STORICI, ADATTA PER RICERCHE SCOLASTICHE E PER ARRICCHIRE IL PROPRIO BAGAGLIO CULTURALE.

GATTO SELVATICO

Felis s. silvestris
Famiglia: Felidi

Caratteristiche: La femmina è più piccola e più leggera del maschio. Simile al gatto domestico; pelo da bruno-grigio a bruno-giallastro tigrato di scuro, parte inferiore spesso bianca; coda folta con anelli neri e mozza; occhi verde-giallo con pupille verticali a fessura; rinario color carne.

Diffusione: Europa (tranne Scandinavia, Islanda, Irlanda); Asia Minore, Caucaso.

Habitat: boschi di latifoglie e misti, vasti e chiusi.

Abitudini: prevalentemente crepuscolare e notturno; solitario al di fuori del periodo di accoppiamento; terreno di caccia fisso, marcato con secrezione delle ghiandole odorifere; caccia di solito a terra, ma si arrampica anche bene; giaciglio in tronchi d’albero cavi o spaccature nella roccia.

Alimentazione: prevalentemente topi, anche uccelli e piccoli Mammiferi fino alle dimensioni di un coniglio.

Riproduzione: gestazione 63-68 giorni; 2-6 piccoli ciechi, con un rado pelo giallastro a macchie scure, che dopo 10 giorni aprono gli occhi e a 3-4 mesi diventano autonomi.

Fino a 150 anni fa il gatto selvatico era comunemente diffuso nei boschi dell’Europa centrale; nei decenni successivi è stato sterminato quasi completamente dai cacciatori che lo consideravano un predatore dannoso. Oggi, invece, si sa che il gatto selvatico non minaccia la selvaggina minuta e lo si protegge. Sia il maschio sia la femmina marcano ciascuno il proprio territorio con tracce odorose.
Quando graffiano i tronchi degli alberi, non si affilano solo le unghie, ma vi lasciano una secrezione proveniente da ghiandole poste sui polpastrelli; anche sulla coda e intorno all’ano sono presenti delle ghiandole, le cui secrezioni odorose vengono strofinate su rami, pietre e simili per segnalare la propria presenza.

Nel periodo di accoppiamento emettono, come i gatti domestici, forti grida. Solo allora la femmina accetta il maschio sul proprio territorio. I piccoli, per lo più 2-6, nascono a maggio. Il nido è ben nascosto a volte nella tana abbandonata di una volpe o di un tasso, di solito in un tronco cavo o sotto le radici e sul fondo duro viene sistemata un’imbottitura  d’erba o di piume. A 4-5 settimane i gattini abbandonano già temporaneamente la tana e si esercitano giocando a catturare prede e a lottare. A 2 mesi incominciano ad accompagnare la madre nelle battute di caccia.

Poiché spesso i gatti selvatici si accoppiano con gatti domestici rinselvatichiti, nell’Europa centrale sono molto diminuiti quelli di razza pura. I nostri gatti domestici, invece, discendono probabilmente dal gatto selvatico fulvo (Felis s. lybica) d’Egitto.

 

TOPOLINO DOMESTICO

Mus musculus
Famiglia: Muridi

Caratteristiche: Colore grigio “topo” o da bruno-grigio a bruno-giallastro con parte inferiore grigio-bianca; coda quasi priva di peli, lunga quasi quanto il corpo; orecchie grandi, arrotondate, membranose. Intenso odore sgradevole.

Diffusione: terra d’origine Asia orientale, diffuso in tutto il mondo al seguito degli insediamenti umani.

Habitat: esclusivamente o temporaneamente in abitazioni dell’uomo, stalle, fienili, cantine; all’aperto linee di confine dei campi, prati, siepi, giardini.

Abitudini: diurno e notturno; si arrampica e nuota bene; vive in gruppi familiari; negli edifici nidi di carta rosicchiata, tessuto e simili, all’aperto tane sotterranee scavate da lui stesso.

Alimentazione: onnivoro. Preferisce semi, cereali, anche grasso.

Riproduzione: accoppiamento durante tutto l’anno; gestazione 20-24 giorni; 4-8 cucciolate l’anno, ciascuna di 4-9 piccoli nudi e ciechi, che a 13 giorni aprono gli occhi, vengono allattati per circa 3 settimane e dopo 6-7 settimane sono atti alla riproduzione.

Delle infinite sottospecie del topolino domestico sono presenti in Europa soprattutto due tipi: quello occidentale, grigio, che vive esclusivamente in edifici, e quello orientale, dal dorso bruno, che trascorre l’estate in prati e campi e si ritira nelle abitazioni dell’uomo solo d’inverno.
Mentre gli individui allo stato “selvatico” preparano spesso nelle loro tane grandi provviste, quelli “di casa” hanno perso l’istinto dell’accaparramento e vivono di preferenza vicino o proprio in mezzo alle provviste dell’uomo.

Nei gruppi di topolini domestici vige una stretta gerarchia. E’ un maschio forte ed esperto a guidare la famiglia e solo questo può accoppiarsi con le femmine in calore; deve però difendere costantemente la propria posizione nei confronti dei maschi di rango inferiore in lotte furiose, finché gli subentra come capo un altro individuo, di solito più giovane. Come succede tra i ratti, spesso più femmine allevano i piccoli in comune in un unico nido. In questo modo possono meglio riscaldarsi a vicenda, visto che i minuscoli neonati nudi hanno bisogno di una temperatura di circa 30°C nel nido per crescere bene. Se in seguito ad una veloce riproduzione si arriva alla sovrappopolazione, interviene un’efficace forma di controllo delle nascite: le femmine di basso rango non vanno più in calore e, se le femmine giovani sono presenti in numero consistente, i loro organi genitali si atrofizzano fino alla sterilità.

Da sempre il topolino domestico è inquilino sgradito delle nostre case in quanto parassita dei generi alimentari e portatore di malattie.

 

CIRO MENOTTI

Nato a Carpi (MO) nel 1798, da una famiglia della borghesia imprenditoriale, Ciro Menotti aveva ampliato l’azienda familiare, fondando a Modena una filanda e una ditta di spedizioni, che avevano il loro principale mercato a Londra. Nella capitale inglese Menotti era entrato in contatto con i profughi liberali italiani ed era stato individuato da Enrico Misley come un possibile tramite fra i rivoluzionari dell’emigrazione e il duca di Modena Francesco IV.

Il suo ruolo divenne centrale nella cospirazione modenese alla fine del 1830, quando riuscì a organizzare una serie di comitati insurrezionali a Bologna, Firenze, Parma e Mantova. Il 12 dicembre 1830 inviò a Misley, a Parigi, le sue Idee per organizzare delle intelligenze fra tutte le città d’Italia, un programma insurrezionale mirante a dare all’Italia ‘indipendenza, unione e libertà’, sotto il governo di una “monarchia rappresentativa”, con Roma capitale e un sovrano scelto da un congresso nazionale.

Il progetto di Menotti incontrò diversi ostacoli. A Parigi si andava rafforzando fra gli esuli l’ipotesi, sostenuta da Filippo Buonarroti, di una rivoluzione repubblicana, e il governo orléanista mandava messaggi ambigui circa la sua intenzione di far rispettare il principio del non intervento. A Modena Francesco IV fingeva di assecondare Menotti, mentre lo utilizzava come fonte di informazione sui preparativi rivoluzionari. A Roma si progettava una cospirazione indipendente, guidata da Luigi Napoleone, la cui trama venne scoperta per una delazione che portò all’arresto dei principali cospiratori. Il 3 febbraio 1831, alla vigilia dello scoppio dell’insurrezione, i soldati di Francesco IV riuscirono a sorprendere e a catturare Menotti, che dopo un processo sommario fu impiccato a Modena il 26 maggio.

1868 – L’IMPOSTA SUL MACINATO

La guerra del 1866 con l’Austria aveva comportato, per l’economia italiana, un forte aggravamento del disavanzo del bilancio, conseguenza inevitabile del cospicuo aumento delle spese straordinarie. Il deficit, che raggiunse in quell’anno la somma di 721 milioni, venne in gran parte coperto dai prestiti della Banca nazionale, ottenuti grazie all’imposizione del corso forzoso della moneta. Nel quadro di una manovra economica complessiva, volta a ottenere il pareggio del bilancio, vennero varate altre misure straordinarie, quali il passaggio del monopolio dei tabacchi dalla gestione diretta dello Stato alla cointeressenza, un aumento delle imposte sulla proprietà fondiaria, e soprattutto l’imposta sulla macinazione dei cereali.

Difesa accesamente alla Camera da Cambray-Digny e da Quintino Sella e promulgata il 7 luglio 1868, quest’ultima fu un’imposta sui consumi che pesò fortemente sull’economia delle popolazioni rurali, particolarmente sottoposte a controllo, poiché l’imposta doveva essere pagata direttamente al mugnaio, prima del ritiro delle farine.

Contro l’applicazione dell’imposta sul macinato sin dal gennaio 1869 si verificarono agitazioni e rivolte contadine in quasi tutta la penisola, con picchi particolarmente gravi in Emilia. Si calcola che, complessivamente, i moti costarono più di 250 morti e un migliaio di feriti. Se l’imposta si dimostrò talmente impopolare da poter essere considerata uno dei fattori che determinarono la sconfitta della Destra storica, essa costituì tuttavia nel corso degli anni successivi un indubbio successo dal punto di vista economico, contribuendo a rendere possibile il risanamento finanziario dello Stato.

 

FILIPPO BUONARROTI

Nato a Pisa l’11 novembre 1761, giornalista e seguace delle idee di Rousseau, Filippo Buonarroti alle prime notizie della rivoluzione francese lasciò Firenze per la Corsica, dove fondò un suo periodico, il Giornale patriottico di Corsica, ispirato alle correnti più democratiche della cultura francese.

Cittadino francese dal 1793, agente rivoluzionario in missione in Italia, caduto in disgrazia dopo il colpo di Stato del Termidoro contro Robespierre, fu implicato nella fallita “congiura degli eguali” di Graccus Babeuf arrestato e successivamente costretto a una vita di esilio. A Ginevra fondò la setta segreta dei Filadelfi e tentò, durante la restaurazione, di ricucire il panorama delle sette italiane attraverso l’organizzazione e il controllo delle società segrete dei Sublimi maestri perfetti e della Federazione italiana. Anche dopo il fallimento dei moti del 1820 e del 1821 rimase fedele a un illuminismo di matrice rousseauiana e comunistica.

Incessante fu il suo impegno nella fondazione di società segrete e nella propaganda rivoluzionaria. Nel 1828 pubblicò a Bruxelles La conspiration pour l’égalité, dite de Babeuf (La congiura degli eguali, detta di Babeuf), che non era soltanto una nostalgica rievocazione di quell’evento, ma anche un ripensamento del ruolo della rivoluzione francese e delle tensioni repubblicane e democratiche che avevano percorso l’Europa negli ultimi trent’anni. I movimenti cospirativi europei rimasero però nella maggior parte estranei al comunismo buonarrotiano e legati piuttosto a un orientamento costituzionale moderato.

Allontanatosi intorno al 1834 anche dai mazziniani, ai quali pure lo univa il programma repubblicano, Buonarroti morì in esilio, profondamente isolato, a Parigi il 17 novembre 1837.

LA VOLPE

Non è un caso che alla volpe si attribuiscano da sempre astuzia e furbizia; grazie alla sua enorme capacità di adattamento e alla sua prudenza, come pure all’alto tasso di riproduzione, è sempre riuscita a sopravvivere, anche a persecuzioni intense, e a colonizzare habitat sempre nuovi. E’ perfino possibile incontrarla, a volte, nei parchi delle grandi città. Durante il periodo riproduttivo, in pieno inverno, tra gli ululati e un forte abbaiare, si formano le coppie; il maschio segue poi passo passo la femmina, spesso per settimane intere, finché è disposta all’accoppiamento. Verso la fine della gestazione e per alcuni giorni dopo la nascita dei piccoli la femmina non lascia più la tana e viene rifornita di cibo dal maschio. A 2 settimane i cuccioli aprono gli occhi e spuntano i denti da latte. Vengono quindi a poco a poco abituati dalla madre anche al cibo solido, prima con un rigurgito predigerito, poi con diverse prede riportate.

A 1-2 mesi le volpi giovani incominciano ad esplorare il mondo al di fuori dalla tana e perdono gradualmente il loro primo pelo, scuro e lanuginoso, assumendo la caratteristica colorazione fulva. Nei loro giochi sempre più vivaci acquistano destrezza e vista d’occhio e provano molti comportamenti utili per la sopravvivenza futura. Nel tardo autunno, infine, sono scacciati dai genitori e devono cercarsi un proprio territorio.

Questo è demarcato con segnali odorosi costituiti da urina, da una secrezione delle ghiandole anali, depositati in punti particolari. Le ghiandole odorifere tra i polpastrelli delle dita lasciano sul terreno delle tracce odorose che informano i conspecifici sugli spostamenti e facilitano l’orientamento di notte. Tutte le volpi hanno poi una tipica macchiolina nera sulla parte superiore della coda dove sbocca una ghiandola cutanea, la cui funzione non è ancora stata spiegata chiaramente: è possibile che serva anch’essa alla demarcazione del territorio tramite l’odore. Oltre all’olfatto, pure l’udito è particolarmente ben sviluppato e la volpe riesce a sentire lo squittio di un topo anche a 100 m di distanza.

Nutrendosi per lo più proprio di topi, arreca fra l’altro grandi vantaggi all’agricoltura. Se invece cattura un fagiano, una lepre, un coniglio selvatico o, in casi più rari, addirittura un capriolo, viene bollata dai cacciatori come animale da preda. Gli animali che cadono vittima della volpe, tuttavia, sono soprattutto quelli deboli e malati, per cui la sua caccia mantiene l’equilibrio biologico dei boschi.

Come si può, comunque, disapprovarla se in certe occasioni si imbatte anche in un comodo animale da cortile, raggiungibile quasi senza fatica? Se talvolta la tavola non è così imbandita, si accontenta peraltro anche di larve di insetti, cavallette, lombrichi o vegetali, come bacche, frutta e prodotti agricoli.

Da secoli la volpe è accanitamente perseguitata: un tempo come predatore e per la sua preziosa e folta pelliccia invernale, in epoca più recente soprattutto perché il principale propagatore della rabbia.

Negli ultimi 50 anni questa malattia virale, pericolosa anche per l’uomo, in Europa ha assunto le dimensioni di un’epidemia di grandi proporzioni. L’infezione avviene solo se il virus penetra in una ferita tramite la saliva di un animale rabbioso, cioè di solito a causa di un morso. Durante la caccia le volpi vengono a volte morsicate sulle labbra da topi, spesso portatori del virus, e così sono infettate; una volpe rabbiosa aggredisce di solito mordendo altri animali e trasmettendo in questo modo la malattia.

Nel tentativo di arginare il contagio sono state abbattute (o uccise nella tana con il gas) milioni di volpi, ma inutilmente. Ci si ripromette oggi di ottenere risultati migliori tramite una vaccinazione per via orale, esponendo cioè nei boschi esche di carne con il vaccino. Sempre più cacciatori hanno nel frattempo riconosciuto l’utilità delle volpi e le tollerano di nuovo – in numero limitato – sul loro terreno di caccia.