QUESTA È UNA RACCOLTA DI NOTIZIE E FATTI STORICI, ADATTA PER RICERCHE SCOLASTICHE E PER ARRICCHIRE IL PROPRIO BAGAGLIO CULTURALE.

ROMOLO E REMO

Ascanio o Julio, figlio del troiano Enea, fondò la città di Albalonga, sulla quale avrebbero regnato i suoi discendenti. Si narra che l’ultimo di questi re, Numitore, fu spogliato del regno da suo fratello Amulio, che ne uccise il figlio e costrinse la figlia di lui, Rea Silvia, a farsi sacerdotessa di Vesta, perchè non si sposasse. Ma Rea Silvia era segretamente sposa del dio Marte ed ebbe due gemelli. Amulio ordinò che fossero affogati nel Tevere in piena. Ma il servo, incaricato del delitto, non ebbe il coraggio: depose i bambini in una cesta e l’abbandonò nel fiume.

La cesta, spinta dalla corrente nell’entroterra, si incastrò nelle radici di un fico selvatico. D’un tratto risuonò un ululato: una lupa dagli occhi ardenti correva verso il fico. Da poco le erano morti i cuccioli, aveva le mammelle gonfie di latte e aveva fame. Balzò sulla cesta, annusò i piccoli. Nel suo essere ferino prevalse l’istinto materno: si accucciò ad allattare i neonati. E li sfamò fino a quando non vide avvicinarsi un uomo e una donna, il pastore Faustolo e sua moglie Acca Larenzia: allora scappò. I due pastori allevarono i gemelli chiamandoli Romolo e Remo. I gemelli crebbero tra i pastori, sul monte Palatino. Quando, divenuti adulti, conobbero la propria origine, assalirono l’usurpatore e rimisero sul trono Numitore, il loro nonno. Romolo avrebbe poi fondato Roma, il 21 aprile del 753 prima di Cristo.

ORAZI E CURIAZI

Roma era in guerra con Alba. I due eserciti erano schierati e il re Tullo Ostilio stava per far squillare le trombe per l’attacco, quando Mezzio Fufezio, dittatore degli albani, chiese di parlamentare. “Le nostre città si contendono il predominio del Lazio. Ma se ci battiamo ci indeboliremo e gli etruschi ci salteranno addosso"”. “Hai ragione, Fufezio. Io propongo che si affrontino in duello i tre gemelli albani, i Curiazi: chi prevarrà, darà alla sua città il diritto di dominare l’altra”.

E l’accordo fu solennemente giurato. Iniziò il duello. In un attimo gli Orazi ferirono tutti gli avversari ma, subito dopo, due caddero esanimi. Il terzo Orazio, illeso, era circondato. Valutò la situazione: se si metteva a correre, i tre l’avrebbero inseguito, ma si sarebbero distanziati l’uno dall’altro, indeboliti dalle ferite. E corse veloce nella pianura assolata.

Orazio non si era sbagliato: poco dopo, soltanto uno dei Curiazi lo seguiva da presso. Allora si girò, lo assalì, lo trafisse. E balzò rapido a colpire il secondo e infine il terzo. Alba era ormai sottomessa a Roma.

Orazio difende il ponte
Orazio Coclite combattè da solo, vittoriosamente, contro i nemici etruschi mentre i compagni, alle sue spalle tagliavano il ponte Sublicio sul Tevere, ultimo accesso a Roma. Terminata l’opera, Orazio si tuffò nel fiume e, riparandosi con lo scudo dai colpi nemici, si mise in salvo.

Il sacrificio di Muzio
Gaio Muzio, introdottosi una notte nel campo etrusco per uccidere Porsenna, colpì per sbaglio uno scrivano del re. Catturato, con grandissimo coraggio “punì” la sua mano destra bruciandola in un braciere. Porsenna, ammirato, decise di concludere con i romani la pace. Da quel giorno Muzio fu chiamato Scevola, cioè “mancino”.

I MOSTRI DEGLI ABISSI

Nel fondo degli oceani vivono animali dalle forme strane: la forte pressione alla quale sono sottoposti e l’assenza completa o quasi di luce sono i fatti che hanno condotto gli esseri che vivono negli abissi marini ad assumere aspetti quasi mostruosi. Queste difficili condizioni comportano una ridotta possibilità di vita e perciò gli animali presenti alle alte profondità sono poco numerosi sia come numero di specie sia come quantità totale.

Mancanza di luce significa assenza di vegetazione: come tutti sanno, infatti, le piante possono svilupparsi solo grazie alla luce solare, essendo questa la fonte insostituibile di quella sintesi clorofilliana che regola le funzioni vitali dei vegetali. L’elemento fondamentale per la vita negli abissi è quindi sostituito con i resti di organismi che vivono più in alto e che precipitano sul fondo.

Gli animali abissali si suddividono perciò in due sole categorie: i consumatori di detriti e i loro predatori.
I primi trovano il loro alimento nella “pioggia” di sostanze organiche morte che cade dagli strati superficiali del mare.
I secondi si nutrono dei primi. Al di sopra di tutti, i calamari giganti, che qualcuno considerava frutto della fantasia umana e quindi personaggi degni di figurare solo nei romanzi di avventure, ma la cui esistenza è stata realmente dimostrata.

 

FRUTTA MATURA E ACERBA

La differenza è dovuta al fatto che le sostanze chimiche contenute nel frutto maturo sono assai diverse da quelle contenute nel frutto acerbo. Il maturarsi del frutto non è che un susseguirsi di vari cambiamenti chimici, di successive alterazioni, definite e precise, come quelle che avvengono in un laboratorio chimico. Nel frutto acerbo si trovano grandi quantità di acidi. L’acido malico si trova nelle mele acerbe; l’acido citrico si trova nelle arance, nei limoni e nei cedri. Il frutto matura quando la pianta, aiutata dal calore del sole, trova in sè le forze necessarie per mutare la composizione chimica di questi acidi. Probabilmente l’ossigeno dell’aria, combinandosi con gli acidi stessi, li brucia, o per lo meno li trasforma completamente. Ed è così che troviamo al loro posto una sostanza assai più complicata che si dice zucchero di frutta e che è dolce come tutti gli zuccheri. L’azione del sole è decisiva. In Italia ne abbiamo una prova lampante. Le uve dell’Italia meridionale, per esempio, sono molto più dolci, più cariche di zucchero, di quelle dell’Italia settentrionale. Queste potranno parere più gustose: ma ciò dipende non dallo zucchero bensì dagli aromi, dai profumi, che la speciale natura del terreno dà loro.

 

SARDEGNA: IL SUGHERO

Tempio Pausania (provincia di Sassari), capoluogo della Gallura, è il centro più importante della Sardegna e d’Italia per la lavorazione e il commercio del sughero. Le sugherete, boschi di querce da sughero spontanei o impiantati, sono tipiche dei Paesi mediterranei: Portogallo, Spagna, Algeria, Marocco, Tunisia e Italia. Da noi crescono in Toscana, Lazio, Sicilia, Calabria, ma soprattutto in Sardegna, su una superficie totale di 90 mila ettari. La Sardegna da sola fornisce 180 mila quintali di sughero l’anno, i due terzi della produzione nazionale, ma nel triangolo Tempio Pausania-Luras-Calangianus se ne lavorano almeno 50 mila in più, che vengono importati dalla Spagna e dal Portogallo per far fronte alle richieste del mercato.

Coltivare sughero non è semplice, richiede pazienza e attenzione: per avere una produzione abbondante e di buona qualità le piante devono aver raggiunto almeno i 10 anni di età. Se vengono scorticate prima per vendere il prodotto, deperiscono rapidamente. E questo purtroppo succede e danneggia irreparabilmente il futuro della produzione. Quando la pianta ha raggiunto il giusto grado di sviluppo, si effettua la demaschiatura, cioè l’asportazione del sughero maschio o sugherone di qualità scadente. A questo punto la pianta incomincia a produrre il sughero migliore (femmina o gentile), che s’ispessisce sempre più e viene asportato dopo nove anni almeno. Dopo altrettanti anni di attesa si ripete l’operazione e così via per tutta la durata del bosco, che può essere anche di cento anni. Lo scortecciamento si esegue d’estate e interessa di volta in volta una superficie sempre più ampia di tronco fino ad arrivare ai rami. L’impianto di una nuova sughereta deve rispettare una certa distanza tra le piantine perchè le sugherete hanno bisogno di molta luce e di spazio; è necessario inoltre estirpare le erbe infestanti e il sottobosco, lasciando strisce di terreno prive di vegetazione per limitare il pericolo di incendi, tanto frequenti d’estate in Sardegna. Le querce da sughero, però, sono piante resistenti, per così dire, agli incendi: infatti la corteccia è isolante e protegge la parte vitale dell’albero, che rinasce dopo l’incendio, anche se questo ritarda e riduce il raccolto successivo.
La raccolta del sughero occupa operai fissi e altri stagionali. A Tempio Pausania c’è dal 1952 una stazione sperimentale che studia gli aspetti biologici (l’albero e le sue malattie) e gli aspetti tecnologici della coltivazione del sughero (impiego del prodotto e dei suoi derivati).

Il sughero viene utilizzato per la fabbricazione di turaccioli, galleggianti, rivestimenti isolanti e linoleum. Dalla lavorazione di un quintale di sughero si ricavano 10 mila turaccioli, che sono tanto migliori quanto migliore è la qualità della materia prima.

SENSIBILITA’ DI UN ELEFANTE

Quando si parla di una persona incapace di avvertire i piccoli problemi psicologici del prossimo, si dice che ha la “sensibilità di un elefante”. Niente di più errato, almeno a giudicare dal comportamento in natura degli elefanti, specie nei riguardi dei loro piccoli. Quando nasce un piccolo elefante, la madre è assistita da un’amica che si presta a far da ostetrica, mentre i maschi si dispongono intorno, in circolo, con le zanne rivolte all’esterno per scoraggiare ogni intruso. Per i primi tempi la madre si tiene l’elefantino fra le zampe per assicurargli la massima protezione, e quando il branco si sposta il piccolo viene sempre aiutato a guadare un fiume o a oltre passare un dirupo. Ma può succedere che la madre muoia: in questo caso c’è sempre un’altra femmina pronta ad adottare il giovane orfano e ad allattarlo come un proprio figlio. Più sensibili di così.

 

SICILIA: GLI AGRUMI

Secondo la leggenda, fu il mitico Ercole a diffondere la coltivazione degli agrumi, dopo aver ucciso il mostro che era a guardia del giardino delle Esperidi, dove questi frutti erano custoditi. In realtà si sa che gli agrumi sono originari dell’Asia orientale e meridionale e che sono giunti in Europa in varie epoche a seconda delle zone. In Sicilia sono stati portati come piante ornamentali dagli Arabi nell’VIII secolo.

Dapprima gli aranci e i limoni furono coltivati esclusivamente nei giardini dei palazzi e delle moschee e curati da esperti giardinieri persiani, ma poco alla volta si diffusero in tutta l’isola. Venivano utilizzati soprattutto per la preparazione di farmaci e profumi. Del resto le loro qualità salutari sono sottolineate ancora oggi dai medici che consigliano di mangiarne molti, soprattutto perchè ricchi di vitamine (A, B, C e P).

La produzione di profumi prese l’avvio in Italia nel Rinascimento e si basava appunto sull’acqua di arancia o sull’essenza di bergamotto. Verso la fine del Settecento gli agrumi fecero finalmente la loro comparsa sui mercati ed entrarono nell’alimentazione. Venivano coltivati ormai in tutto il bacino del Mediterraneo, lungo le coste asiatiche e africane, e in America.

Fino agli inizi del Novecento Italia e Spagna sono state le maggiori esportatrici di agrumi, ma poi sono state affiancate o superate da Stati Uniti (California e Florida), Marocco, Algeria, Grecia, Libano, Israele, Brasile e Sudafrica. Negli ultimi 50 anni la produzione mondiale si è quintuplicata, causando addirittura una crisi sui mercati mondiali che ha portato molti Paesi a distruggere le produzioni in eccesso per evitare un crollo dei prezzi.

Attualmente il maggior produttore di agrumi è il Brasile, mentre l’Italia copre solo il 5 per cento del mercato, esportando il proprio prodotto soprattutto in Europa e in Canada. Tra le regioni italiane, la Sicilia è al primo posto, con più di 2 milioni di tonnellate di agrumi, seguita dalla Calabria. Più in dettaglio, la Sicilia produce ogni anno quasi 13 milioni di quintali di arance di diverse qualità, 6 milioni di quintali di limoni e 1 milione e 100 mila quintali di gustosissimi mandarini.

La Sicilia ha il clima ideale per la coltivazione degli agrumi che temono il freddo. Infatti, se talvolta ci capita di vedere piante di agrumi in altre zone non altrettanto calde, è perchè sono state costruite protezioni (come le serre) o ci troviamo in presenza di località che godono di un clima mite.

L’ORTICA

Le foglie dell’ortica sono coperte di peli ruvidi che penetrano nella nostra pelle come tanti spilli. Questi peli sono canaletti pieni di un liquido fortemente irritante e se esso penetra sotto la nostra pelle, anche in piccole quantità, ci procura appunto fastidio e bruciore.

L’acido dell’ortica si chiama formico perchè si trova anche nel corpo delle formiche. Si tratta di una delle tante armi di difesa che la natura ha messo a disposizione delle piante e degli animali; come i denti velenosi del serpente, l’inchiostro di cui si vale la seppia per nascondersi ai suoi nemici, l’olio velenoso che si trova nelle foglie di certe piante e così via.

 

LAZIO: IL FORMAGGIO

Prima della completa bonifica degli anni Trenta dell’Agro Pontino che si stende nella parte meridionale del Lazio, in provincia di Latina, la principale attività della regione era la pastorizia. Il patrimonio ovino del Lazio era il secondo in Italia dopo quello della Sardegna. Nei primi decenni del nostro secolo era possibile assistere frequentemente al passaggio delle greggi per le vie del centro di Roma. I pastori conducevano pecore e capre sui monti in estate e poi le riportavano in pianura in autunno.
Oggi la pastorizia non è più attività trainante dell’economia laziale, ma fa ancora parte del panorama economico della regione e, soprattutto, ha lasciato una grande tradizione in fatto di formaggi fabbricati con latte di pecora. A questi si sono aggiunti altri formaggi di latte di mucca (mozzarella e caciotta), perchè attualmente l’allevamento dei bovini e dei bufali è più sviluppato di quello degli ovini.

La produzione casearia resta prerogativa della provincia laziale, anche se Roma ha via via concentrato nella sua zona di influenza tutte le principali e più redditizie attività della regione, insieme con i tre quarti della popolazione. Il pecorino romano, la mozzarella, le caciotte e la ricotta, per citare i prodotti più famosi, vanno ad arricchire la lunga lista dei formaggi di produzione italiana (circa 400), molti dei quali vengono esportati in Europa e nel mondo intero.

I produttori più rispettosi della tradizione temono l’eccessiva industrializzazione della produzione a scapito della qualità e del gusto e difendono gli autentici formaggi laziali, che vengono preparati secondo le antiche regole. Per fare il pecorino, come dice il nome stesso, viene utilizzato latte di pecora riscaldato a 38 gradi. Si procede poi alla coagulazione con caglio in pasta che si realizza in 15-20 minuti. La cagliata viene frantumata, portata a 48 gradi di temperatura per 10-12 minuti e poi compressa con le mani in ogni senso. Si passa poi alla “frugatura” per purificarla del siero e ad una nuova compressione, per una ventina di minuti. Dopo due giorni si inizia la salatura che dura due mesi. L’ultima operazione è la stagionatura nella “caciaia” per 7-8 mesi ad una temperatura di 15-20 gradi. Il risultato è giudicato ottimale se la forma ha la crosta bruna, la pasta granulosa, senza occhiatura e un sapore un po’ piccante.

Pare che gli antichi Romani, e Plinio in particolare, apprezzassero il pecorino tanto da dire che aveva il sapore degli dèi.