QUESTA È UNA RACCOLTA DI NOTIZIE E FATTI STORICI, ADATTA PER RICERCHE SCOLASTICHE E PER ARRICCHIRE IL PROPRIO BAGAGLIO CULTURALE.

IL NABUCCO

Con la prima rappresentazione alla Scala di Milano dell’opera in quattro atti Nabucodonosor, meglio conosciuta come Nabucco, Giuseppe Verdi (Parma 1813-Milano 1901) conseguì, dopo un esordio difficile, il primo di una lunga serie di trionfi di pubblico e di critica.

Il compositore parmense, che per le origini sociali modeste e le difficoltà finanziarie della famiglia si era visto negare l’ingresso al conservatorio di Milano, aveva incominciato a frequentare gli ambienti musicali milanesi negli anni in cui dominava il repertorio di Gaetano Donizetti e Giuseppe Saverio Mercadante. La sua prima opera comica, Un giorno di regno, tratta da un vecchio libretto di Felice Romani, aveva incontrato un clamoroso insuccesso.

Il Nabucco, tratto da un libretto di Temistocle Solera, narra come gli assiri, guidati dal re Nabucco (contrazione dell’originario Nabucodonosor), occupino Gerusalemme e conducano gli ebrei in cattività, ma come alla fine la vittoria arrida agli ebrei. La nota vicenda biblica consentiva a Verdi una lettura metaforica che trasferiva nella sofferenza e nella lotta degli ebrei quella degli italiani schiacciati dall’invasore austriaco.

In particolare il celebre coro del III atto, Va, pensiero, sull’ali dorate, coi suoi versi di trasparente attualità, “Oh mia patria sì bella e perduta!”, fu considerato un vero e proprio inno patriottico. Nell’anno successivo, con la prima alla Scala del dramma lirico in quattro parti I lombardi alla prima crociata, Verdi ripeté il trionfo del Nabucco, imponendosi come il maestro indiscusso della musica romantico-patriottica italiana.

LA NASCITA DEL CINEMA IN ITALIA

Nato a Parigi nel dicembre 1895, allorché i fratelli Lumière diedero inizio a regolari proiezioni, il cinematografo si diffuse in breve tempo anche in Italia, dove, benché si proiettassero soprattutto i film francesi dei Lumière, si avviò subito una produzione nazionale.

Al 1896 risale una delle prime modeste pellicole, L’arrivo del treno alla stazione di Milano, del milanese Italo Pacchioni; degli anni seguenti sono opere come Manovre degli Alpini al colle della Ranzola e La prima corsa automobilistica: Susa-Moncenisio, prodotte nel 1904 dal fotografo torinese Arturo Ambrosio e realizzate da Roberto Omegna, in seguito grande documentarista.

Del 1905 è La presa di Roma di Filoteo Alberini, tra i primi direttori (registi) di film italiani, che nel 1895 aveva brevettato un apparecchio cinematografico affine a quello dei Lumière.

Richiamandosi al modello francese dei Lumière, e non certo a Georges Meliès, da alcuni critici considerato il vero creatore dello spettacolo cinematografico per aver saputo fondere maestria tecnica e fantasia, il primo cinema italiano si proponeva la pura riproduzione della realtà ed era proprio il suo carattere realistico a meravigliare il pubblico.

Sedi della nuova industria cinematografica furono inizialmente Roma, dove Alberini fondò nel 1905 la prima casa cinematografica italiana, divenuta nel 1906 la CINES, e Torino, dove il primo stabilimento fu fondato da Ambrosio nel 1906.

 

L’ATLANTE

Perché si chiama così? La ragione deve ricercarsi in un’antica leggenda. Il gigante Atlante, figlio di Giapeto e della ninfa Climene, si mise un giorno a capo dei Titani ribelli e sfidò Giove, dio dell’Olimpo, perché voleva spodestarlo dal trono e diventare re di tutti gli uomini e di tutti gli dèi. Ma i Titani non la spuntarono. Nella lotta vinse Giove che punì tutti i ribelli. E Atlante venne condannato a portare sulle spalle per l’eternità il globo terrestre.

Quando verso la fine del Cinquecento si cominciarono a pubblicare le prime raccolte a stampa di carte geografiche, esse avevano nella copertina l’illustrazione di Atlante che reggeva sulle spalle il mondo.

Da quel giorno Atlante perse la maiuscola e diventò un nome comune.

ALLA CARLONA

Com’è facile immaginare, c’entra l’imperatore Carlo Magno (742-814). La storia sembra sia andata in questo modo. Un giorno Carlo Magno invitò parecchie persone a una battuta di caccia. Tutti gli invitati si presentarono indossando i loro vestiti più sfarzosi e veramente grande fu il loro stupore quando videro l’imperatore in abito dimesso, di ruvida stoffa da contadino.

“Non stupitevi”, disse l’imperatore, “capirete da voi stessi il perché di questo mio abbigliamento”. Ed ecco che di lì a poco si scatenò un violento temporale che inzuppò tutti gli eleganti cacciatori sino alle ossa, riducendo in condizioni pietose i loro costosissimi abiti. L’unico che passò indenne da quel diluvio fu l’imperatore, che non solo non rovinò un costoso abito, ma restò quasi completamente all’asciutto.

Da quel giorno si disse: “essere vestito alla carlona”, cioè alla maniera di Carlo Magno, per dire “essere vestiti male”, e poi la stessa frase si ripeté per tutte le cose fatte alla svelta e alla bell’e meglio.

 

PERCHE’ SI SONO FORMATE LE RAZZE UMANE

Le razze sono le suddivisioni della specie umana stabilite in base a certe caratteristiche ereditarie del corpo: colore della pelle, forma del cranio, statura, tipo di capelli, pelosità, frequenza dei vari gruppi sanguigni, eccetera. C’è da dire che le diversità fra un gruppo umano e l’altro non si sono originate all’improvviso e tutte insieme; non c’è quindi un periodo determinato nel quale sono nate le razze: qualcuna si sta formando ai nostri giorni, mentre altre sono già scomparse o vanno scomparendo.

Ma come e perché si sono formate le varie razze?
Tutto è dipeso dall’ambiente in cui si sono stabiliti i gruppi umani primitivi. A poco a poco, infatti, gli uomini hanno occupato ogni punto del nostro pianeta adattandosi al clima e alle altre condizioni ambientali incontrate nella varie regioni.

Questo adattamento è durato parecchi secoli e ha comportato un processo di selezione e il sorgere di nuove caratteristiche, le quali rendevano più facile sopravvivere in un determinato ambiente. E’ accaduto, per esempio, che gli individui di pelle scura si trovarono meglio nei Paesi caldi, mentre quelli a pelle chiara si trovarono meglio nelle zone fredde.

Per quanto riguarda la classificazione delle razze umane, non esiste un criterio scientifico preciso, perciò gli studiosi possono presentare sistemazioni talvolta molto diverse l’una dall’altra. Normalmente vengono elencate una cinquantina di razze, che si possono raggruppare in una quindicina di ceppi e, a livello generale, in quattro rami:
- europoide
- mongoloide
- negroide
- australoide

 

PERCHE’ LE MARMOTTE FISCHIANO

Quando sente avvicinarsi un pericolo, la marmotta, in posizione eretta, con le zampe anteriori ciondoloni, emette un fischio acuto e prolungato. E’ come se una sentinella avesse dato l’allarme nell’accampamento: in pochi istanti tutte le marmotte che si trovano nei paraggi corrono a nascondersi nella loro tana. E l’allarme raggiunge anche altri animali: topi, scoiattoli, camosci. Per tutti loro la marmotta è una sentinella preziosa.

Tra i nemici delle marmotte, un posto di rilievo spetta alle aquile e alle volpi e, per i piccoli, ai gufi e ai corvi. Naturalmente anche l’uomo è un pericolo. In un solo anno, nel 1944, in Svizzera furono uccise 16 mila marmotte, ricercate soprattutto per la loro pelliccia e il loro grasso. Oggi, fortunatamente, in tutto l’arco alpino sono in vigore norme che proteggono questa simpatica “sentinella” di montagna.

 

PERCHE’ GLI ANIMALI NON PIANGONO

Nell’uomo il pianto, quando non è una semplice reazione automatica (come avviene alle massaie quando tagliano la cipolla), è un linguaggio, un modo per comunicare. Gli animali invece lanciano messaggi con linguaggi diversi: lamenti, segni di minaccia, aggressioni e così via.

Ci sono però animali che “piangono”, ma è una reazione fisiologica. I coccodrilli “piangono” per riflesso condizionato quando inghiottono un boccone voluminoso. Sembra abbiano una digestione difficoltosa.

Anche le tartarughe marine “piangono”, ma lo fanno per eliminare il sale in eccesso accumulato rimanendo nell’acqua del mare.

 

LA PELLE NERA

Il colore della pelle di alcune popolazioni dell’Africa è un’altra dimostrazione dello straordinario equilibrio della natura. La luce del sole, colpendo la nostra pelle, produce la vitamina D, essenziale per lo sviluppo delle ossa. Scarsa luce significa poca vitamina, con il conseguente rischio di malattie come il rachitismo, con le ossa che si piegano sotto il peso del corpo.

Ma anche troppa luce fa male, perché un eccesso di vitamina D porta a una dose esagerata di calcio che provoca malattie che colpiscono il cuore e le arterie.

In Africa i raggi del sole sono particolarmente infuocati e persone dalla pelle troppo chiara potrebbero andare incontro a gravi malattie. Di qui il “miracolo” della natura che, ancora una volta, interviene a equilibrare la situazione, creando un filtro sulla pelle grazie al colore nero, dovuto a una sostanza, la melanina, che è appunto destinata a proteggere l’epidermide dai raggi del sole.

 

SANGUE BLU

Il sangue è sempre rosso, anche nelle arterie dei nobili. L’espressione “avere sangue blu” è nata in Spagna nel Medioevo. La penisola iberica era stata occupata dagli arabi e nel giro di qualche secolo la maggioranza della popolazione era diventata di sangue misto. Soltanto i nobili non si erano mai mescolati con gli invasori e avevano perciò conservato la carnagione chiara.

Di conseguenza sulla loro pelle le vene superficiali apparivano più blu che non sulla pelle della gente comune. Da allora l’espressione “avere sangue blu” o “essere di sangue blu” sta a indicare una nobile discendenza.

Sono espressioni che vengono pronunciate scherzosamente anche nei confronti di chi si comporta in modo altezzoso, come certi antichi aristocratici.