ELSA MORANTE
Elsa Morante nasce a Roma nel 1912. Impara da sola a leggere e scrivere senza frequentare la scuola elementare; terminati gli studi liceali, abbandona la famiglia vivendo di lezioni private e di collaborazioni a riviste culturali. Da quell’esercizio giornalistico nasce il primo volume di racconti, Il gioco segreto, che esce nel 1941, contemporaneamente alla favola Le bellissime avventure di Caterì dalla trecciolina. Nello stesso anno sposa lo scrittore Alberto Moravia da cui si separerà nel 1962. L’opera che l’ha imposta all’attenzione della critica è Menzogna e sortilegio (1948, premio Viareggio), in cui si narra la decadenza di una famiglia gentilizia del sud, attraverso la ricostruzione che ne fa una giovane donna sempre rinchiusa nella sua stanza.
Il tema della solitudine torna nel romanzo L’isola di Arturo (1957), storia della difficile maturazione di un ragazzo che vive come segregato nel paesaggio immobile dell’isola di Procida, all’ombra del grande penitenziario. Dopo la raccolta di versi Alibi (1958) e i racconti dello Scialle andaluso (raccolti in volume nel 1963), il libro che ha segnato una svolta nella poetica della scrittrice è Il mondo salvato dai ragazzini (1968): articolato in poesie, poemi, canzoni, è dedicato ai fanciulli e agli adolescenti, gli unici, secondo la Morante, capaci di “credere che il mondo è proprio come appare”. Nel 1974 pubblica La storia.
L’ultimo suo romanzo, Aracoeli, pubblicato nel 1982, descrive le vicende esistenziali di un personaggio alla ricerca delle proprie origini attraverso la memoria della figura materna.
Muore a Roma nel 1985.
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I MALAVOGLIA DI GIOVANNI VERGA
Quando appare, nel 1881, il romanzo di Verga venne accolto male dal pubblico e dalla critica, incapaci di capirne la novità tematica ed espressiva. Il Verga parla di “fiasco pieno e completo” a Luigi Capuana che gli risponde: “I Malavoglia non sono un fiasco, il fiasco lo fa il pubblico e la critica che si ricrederanno presto come accade sempre coi lavori che escono dalla solita carreggiata! Per me i Malavoglia sono la più completa opera d’arte che si sia pubblicata in Italia dai Promessi Sposi in poi”.
Le caratteristiche
Nei Malavoglia il Verga fa uso di un punto di vista che permette al narratore di “scomparire”, lasciando che i fatti quasi si producano da sé. Lo scrittore, cioè, evita di esprimere le proprie posizioni ideologiche e morali sulle vicende; anche la lingua e la sintassi riflettono l’ambiente rappresentato. Lo scopo è quello di calare il lettore nella comunità di Acitrezza, i cui principi sono la morale “dell’ostrica” (cioè la necessità di rimanere “attaccati” a ciò che si conosce), la “religione della famiglia” e la “vaghezza dell’ignoto” (il mondo punisce chi spezza i vincoli con la comunità).
La trama
I Toscano, detti “Malavoglia”, pescatori di Acitrezza, possiedono una casa e una barca, la “Provvidenza”. Padron ‘Ntoni, il vecchio capofamiglia, padre di Bastianazzo che a sua volta ha cinque figli, compra un carico di lupini da vendere altrove; ma la barca fa naufragio, Bastianazzo muore e i lupini vanno perduti. Per i Malavoglia è l’inizio di una serie di sventure: per pagare il debito bisogna vendere “la casa del nespolo”; Luca, il secondogenito, cade nella battaglia di Lissa e la vedova, Maruzza, muore vittima del colera. ‘Ntoni, il figlio maggiore, si dà al contrabbando e finisce in galera, e anche la sorella più piccola, Lia, compromessa per le voci che circolano su una sua presunta relazione con don Michele, il brigadiere delle guardie doganali, fugge di casa (si saprà poi che è diventata una prostituta); mentre la sorella maggiore, Mena, a causa delle difficoltà economiche non potrà sposarsi con compare Alfio. Con la morte di Padron ‘Ntoni la famiglia è smembrata, anche ‘Ntoni lascerà il paese. Resterà, per riscattare la casa del nespolo e continuare il mestiere del nonno, il più giovane dei fratelli, Alessi.
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CESARE PAVESE
Cesare Pavese nasce nel 1908 a Santo Stefano Belbo, Cuneo, da una famiglia piccolo-borghese di origini contadine. Orfano di padre dall’età di sei anni, riceve dalla madre un’educazione austera. Mettendo a frutto i suoi studi di letteratura inglese, dopo la laurea si dedica a un’intensa attività di traduttore e nel 1934 diviene direttore della rivista “Cultura”. Condannato al confino per aver tentato di proteggere una donna iscritta al Partito Comunista, trascorre un anno a Brancaleone Calabro, dove inizia il diario, Il mestiere di vivere, edito postumo nel 1952. Tornato a Torino, pubblica la sua prima raccolta di versi, Lavorare stanca (1936), quasi ignorata dalla critica; continua a tradurre scrittori inglesi e americani (Melville, Dos Passos, Defoe) e collabora attivamente con la casa editrice Einaudi. Alla fine della guerra si iscrive al Partito Comunista e pubblica sul quotidiano “L’Unità” I dialoghi col compagno (1945). Aveva già esordito come narratore con i romanzi Il carcere e Paesi tuoi (1941), opere di carattere autobiografico, che già evidenziano alcuni temi – la solitudine, il “proprio” paese – che saranno tipici di tutta la sua produzione. Nei romanzi del dopoguerra (Feria d’agosto, 1946; Il compagno, 1947; La casa in collina, 1948; La bella estate, 1949; La luna e i falò, 1950) l’osservazione minuta della realtà si accompagna ai temi del contrasto città-campagna, della solitudine e dell’incomunicabilità metropolitana, contraddizioni che rimandano ai valori fondamentali dell’esistenza: primo fra tutti la ricerca delle proprie radici nel ritorno alla terra. Se il riconoscimento ufficiale della critica giunge finalmente a Pavese con il premio Strega, assegnatogli nel 1950, la depressione, dovuta al suo carattere fragile e introverso, oltre che a varie difficoltà nei rapporti con gli altri, spinge lo scrittore al suicidio, avvenuto a Torino, nell’agosto del 1950.
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UMBERTO SABA
Umberto Saba nasce a Trieste nel 1883. La madre, ebrea, viene abbandonata dal marito prima della nascita del figlio; Saba conosce il padre solo da adulto ma ne rifiuta il cognome scegliendone uno in omaggio alla madre (“saba” significa “pane” in ebraico). Senza aver terminato gli studi, lavora come praticante in una casa di commercio triestina e anche come mozzo su un mercantile. Presta servizio militare durante la prima guerra mondiale, ma senza mai andare al fronte. La sua prima raccolta di poesie è del 1911. Dopo la guerra diventa proprietario di una libreria antiquaria, che costituisce per lui un rifugio ma anche un mezzo di sostentamento e di tutela della propria attività di scrittore. Nel 1921 pubblica presso la sua “Libreria antica e moderna” il Canzoniere.
Parallelamente al crescere della sua fama peggiorano le sue condizioni psichiche, già da anni minate dalla nevrosi, tanto da spingerlo a sottoporsi a intense cure psicoanalitiche. Con la promulgazione delle leggi razziali, Saba è costretto a rifugiarsi prima a Parigi, poi a Firenze, dove Montale e altri intellettuali antifascisti lo proteggono. Vengono pubblicate nel frattempo altre sue raccolte, destinate a ottenere i massimi e unanimi riconoscimenti della critica. Ma la fama non lo aiuta a vincere le crescenti crisi depressive, che lo costringono a un pressoché totale isolamento.
Muore a Gorizia nel 1957.
Saba ha scritto anche un romanzo incompiuto, Ernesto (scritto nel 1953, ma edito soltanto nel 1975).
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VITA PRIVATA DI AUGUSTO
Giulio Cesare non aveva figli maschi: perciò adottò il pronipote Ottaviano che, essendo nato a Roma nel 63 a.C., non aveva neppure vent’anni quando il padre adottivo fu assassinato. Da lui, Ottaviano ereditò un patrimonio enorme, di cui si servì anche per eliminare prima i nemici di Cesare, poi i propri, sino a rimanere, nel 31 a.C., padrone assoluto di Roma.
Il termine “Roma”, sinonimo di Impero romano, indicava allora un territorio estesissimo che comprendeva l’Europa occidentale e centrale, la penisola balcanica, il Vicino Oriente e l’Africa settentrionale. Il potere che a Ottaviano (ormai “Augusto”) derivava da questo dominio era praticamente illimitato: ma egli seppe esercitarlo con saggezza, senza opprimere le popolazioni sottomesse, anzi, valorizzandole per tutto ciò che costituiva l’identità di ciascuna.
La determinazione con cui Augusto liquidò i rivali era la medesima che applicò alla propria vita privata. Giovanissimo, aveva sposato Scribonia, da cui divorziò il giorno in cui nacque la sua unica figlia, Giulia; ma a 25 anni s’innamorò di Livia Drusilla, che apparteneva all’oligarchia senatoria sia per nascita sia per matrimonio, avendo sposato il senatore Claudio Nerone. Livia aveva già un figlio, Tiberio, e ne aspettava un altro, quando conobbe Augusto, il quale riuscì a farla divorziare e a ottenere uno speciale permesso per le nuove nozze.
Fu un matrimonio lungo (52 anni, sino alla morte di Augusto avvenuta nel 14 d.C.) e fortunato, ma senza figli, che Augusto avrebbe invece voluto anche per risolvere il problema della successione: infatti il comportamento scandaloso di Giulia costrinse il padre, che aveva fatto approvare leggi molto severe per quanto riguardava la morale pubblica e privata, a mandarla in esilio nell’isola di Ventotene, dove la donna morì ben presto.
All’allontanamento di Giulia non fu estranea l’ambiziosa Livia, che intendeva realizzare un piano preciso: poiché Roma in sostanza era divenuta una monarchia, dove il potere si trasmette per via dinastica, Augusto avrebbe potuto designare come successore uno dei suoi due figli. Ma Druso, che Augusto ammirava e apprezzava, morì molto giovane, e Tiberio non piaceva al patrigno per il carattere difficile e ombroso.
Tuttavia il rispetto e la considerazione che Augusto nutriva per la moglie erano tali che egli ne accettò il suggerimento, e dieci anni prima di morire adottò Tiberio, ormai quarantaseienne.
Durante il lungo regno, Augusto, benché abile stratega (come si era rivelato tra il 44 a.C. e il 31 a.C.), non partecipò quasi mai alle campagne di guerra, delegandole ai suoi generali come per sottolineare la sua estraneità ai conflitti e, al contrario, il suo impegno nell’edificare la pace.
Quando egli ancora era in vita, furono erette più di 80 statue per celebrare la sua gloria; quando morì, fu sepolto con grandissimi onori nella gigantesca tomba che lui stesso si era fatto costruire molti anni prima, il Mausoleo che ancora oggi si ammira non lontano dal Tevere.
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ROBERT SCHUMANN
1810
Nasce in Germania. Il padre è un celebre editore ed il giovane Robert cresce in un ambiente che favorisce il suoi interessi non solo musicali, ma anche letterari.
1828
Per desiderio della madre si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza, ma nel contempo studia pianoforte sotto la guida di Friedrich Wieck, di cui conosce la figlia, Clara, sua futura moglie.
1830
Ottiene le prime affermazioni come pianista e decide di abbandonare gli studi all’Università per dedicarsi completamente alla musica.
1831-32
Vedono la luce le prime notevoli composizioni per pianoforte: Papillons op.2, Intermezzi op.4, trascrizioni pianistiche dai Capricci di Paganini. La ricerca di una sempre maggiore agilità tecnica al pianoforte lo induce a sperimentare uno strumento col quale aumentare l’articolazione delle dita: l’espediente provoca all’arto un’infiammazione cronica tale da stroncare le sue ambizioni di virtuoso.
1834
Fonda il “Nuovo Giornale di Musica” sul quale può dibattere problemi e discutere quanto di nuovo viene prodotto dai colleghi contemporanei. Si innamora di Clara Wieck, ma questa relazione è ostacolata dal padre di lei: la ragazza è una promettente pianista e il padre teme che il matrimonio le precluda questa strada (non sarà così: una volta sposata con Schumann, nel 1840, Clara riuscirà ugualmente ad affermarsi come concertista).
1835
Entra in amicizia con Felix Mendelssohn Bartholdy. Termina la stesura di Carnaval.
1840-43
Scrive numerosi Lieder, una Prima Sinfonia, denominata “Primavera” e vari lavori cameristici (Quartetti op. 41, Quintetto con pianoforte op. 44, ecc.).
1844
Scrive le Scene dal Faust di Goethe. La sua salute mentale incomincia a farsi precaria e lo costringe a lasciare la direzione della sua rivista.
1846-48
Porta a termine la Seconda Sinfonia e riscuote un buon successo a Praga con il suo unico Concerto per pianoforte e orchestra. Scrive le musiche di scena per il Manfred di Byron.
1850-51
Viene nominato direttore dei concerti a Düsseldorf. Scrive la Terza Sinfonia, soprannominata “Renana”, e la Quarta.
1853-54
Diviene amico di Brahms. La sua salute psichica è sempre più compromessa; tenta il suicidio gettandosi nel Reno, ma viene salvato da alcuni pescatori. Viene internato in una casa di cura a Endenich.
1856
Muore a Endenich.
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ISAAC NEWTON
Isaac Newton nacque nel 1642 in un piccolo villaggio del Lincolnshire, in Inghilterra. A dodici anni il giovane Newton, per frequentare la scuola che si trovava distante, prese alloggio presso un farmacista. Questi incoraggiò il ragazzo nel suo “hobby” preferito: costruire con le proprie mani modellini di vari oggetti. Newton era talmente dotato da riuscire a costruire una riproduzione funzionante di un mulino a vento, oltre a orologi ad acqua, meridiane, aquiloni, lanterne e altro.
Frequentò l’Università di Cambridge, dove si laureò nel 1665, anno in cui, a causa di una terribile epidemia di peste, si dovette ritirare in campagna per circa diciotto mesi. Durante questo periodo Newton gettò le basi di tutte le sue scoperte più importanti.
Tornato a Cambridge nel 1667, come docente di matematica, si dedicò al tempo stesso a studi di ottica, costruendo con le proprie mani tutto quanto gli occorreva (lenti, prismi ecc.). A questo periodo risale la scoperta che la luce bianca contiene tutti i colori dell’arcobaleno.
Nel 1687 fu pubblicata la sua opera più importante, scritta in latino, i Principia (il titolo completo è Phylosophiae Naturalis Principia Mathematica, cioè “Principi matematici della filosofia naturale”, nome con cui all’epoca veniva definita la fisica). A giudizio di molti scienziati si tratta del più grande testo scientifico che sia mai stato scritto.
In esso Newton enuncia le leggi del moto e della gravitazione universale, fornisce la dimostrazione matematica delle leggi di Keplero che descrivono le orbite dei pianeti intorno al Sole, elabora le leggi del pendolo, descrive i movimenti dei corpi, i moti dei satelliti di Giove e di Saturno, i moti della Luna, spiega come calcolare la massa del Sole e dei pianeti partendo dalla massa della Terra (calcola tra l’altro la densità media della Terra che egli dice compresa tra 5 e 6 grammi per centimetro cubo, avvicinandosi molto al valore reale); giunge anche alla conclusione che la Terra debba essere appiattita ai poli e leggermente rigonfia all’equatore, spiega il fenomeno delle maree sostenendo che sono prodotte dell’attrazione combinata del Sole e dalla Luna.
Nel 1704 pubblicò in inglese la sua grande opera sulla luce, Opticks, nella quale descrisse il comportamento della luce, ricorrendo a molti esperimenti, e spiegò i colori dei corpi illuminati e dell’arcobaleno.
Nel 1711 pubblicò Analysis, un trattato di matematica sul calcolo differenziale.
Morì nel 1727. Venne sepolto all’interno dell’Abbazia in Westminster e gli fu eretto un imponente monumento. Newton è riconosciuto ancora oggi come uno dei più grandi geni dell’umanità e viene considerato il vero fondatore della scienza moderna.
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