QUESTA È UNA RACCOLTA DI NOTIZIE E FATTI STORICI, ADATTA PER RICERCHE SCOLASTICHE E PER ARRICCHIRE IL PROPRIO BAGAGLIO CULTURALE.

NAPOLEONE BONAPARTE

Napoleone Bonaparte (fu lui a trasformare il cognome in Bonaparte, più facile da pronunciare per i francesi), nacque nel 1769 ad Ajaccio, in Corsica, l’isola che l’anno precedente era stata ceduta alla Francia dalla Repubblica di Genova.

Suo padre era un avvocato tutt’altro che ricco; la madre, Letizia Ramolino, dedicava tutte le energie all’allevamento degli otto figli.

Il secondogenito Napoleone a soli 10 anni fu inviato a studiare in Francia grazie a una borsa di studio. La sua formazione si realizzò nel collegio militare di Brienne, dove il ragazzo si mise in luce per l’eccezionale attitudine allo studio dell’arte militare e per la prodigiosa memoria.

Superato brillantemente l’esame finale, Napoleone passò alla scuola militare di Parigi. Anche qui si distinse al punto che a soli 16 anni fu nominato sottotenente: l’incarico gli rendeva un sia pur misero stipendio mensile, che egli inviava alla madre, nel frattempo rimasta vedova.

Allo scoppio della Rivoluzione prestava servizio col suo reggimento a Auxonne, ma compì la prima azione militare di rilievo durante l’assedio di Tolone: in questo porto del Mediterraneo era scoppiato un moto controrivoluzionario, e gli abitanti avevano chiesto l’aiuto della flotta inglese (1793). Per espugnare la città, il giovane sottotenente suggerì una tattica, imprevedibile per i nemici, che faceva largo uso dell’artiglieria. Il successo dell’impresa contribuì ad accelerare la sua carriera: fu nominato generale di brigata a 24 anni.

Nel 1795 represse a cannonate l’insurrezione dei monarchici che volevano abbattere la Convenzione, intervento che gli valse la riconoscenza di Barras, un influente membro del Direttorio. Costui, anche per intercessione della bella Giuseppina Beauharnais, donna del gran mondo, affidò a Bonaparte il comando dell’armata d’Italia. Giuseppina e Napoleone si sposarono il giorno prima che egli partisse per l’Italia: la donna vide soddisfatta la sua ambizione quando, pochi anni più tardi, il marito la incoronò imperatrice dei Francesi.

Il matrimonio durò sino al 1810: in quell’anno Napoleone, nella doppia speranza di avere un erede e di ottenere la neutralità dell’Austria, sposò Maria Luigia d’Asburgo, dalla quale ebbe effettivamente un figlio, Napoleone II, soprannominato “L’Aiglon” (“L’Aquilotto”, nomignolo affibbiatogli dai nemici del padre, in contrapposizione all’aquila simbolo del potere di Napoleone), che morì giovane.

Gli ultimi anni di Napoleone furono tragici: la ritirata di Russia, la sconfitta di Lipsia, il disastro di Waterloo, l’esilio, contribuirono forse alla sua morte precoce.

 

IL ROMANZO SOCIALE

Il romanzo sociale dà particolare risalto alla rappresentazione dei costumi della società che fa da sfondo alla vicenda narrata. Questo tipo di romanzo, pertanto, si propone di delineare un quadro realistico della società del tempo evidenziando, in particolar modo, i mali, le ingiustizie, le tristi e dolorose condizioni di vita delle classi più povere.

Ambientata in una precisa epoca storica, quella contemporanea all’autore, la vicenda narrata è per lo più caratterizzata da un intreccio ricco, mosso, carico di tensione. I fatti e i personaggi, che presentano sempre uno stretto rapporto con l’ambiente sociale in cui rispettivamente accadono e vivono, sono generalmente raccontati e descritti in terza persona da un narratore esterno.

Dal punto di vista linguistico, il romanzo sociale utilizza una prosa scarna, asciutta, oggettivo-realistica con frequente ricorso a termini o espressioni popolari, gergali o dialettali, per riprodurre i modi del parlato.

Il romanzo sociale, nato nella prima metà dell’Ottocento con le opere dello scrittore francese Honoré de Balzac, che ne può essere considerato il creatore, e con quelle del famoso scrittore inglese Charles Dickens, ebbe larga diffusione anche nella seconda metà dell’Ottocento con le opere di Emile Zola e nel Novecento, in particolare con i romanzi di Leonardo Sciascia, Pier Paolo Pasolini e Paolo Volponi nei quali affiora chiaramente l’intento di denuncia politica e morale nei confronti di determinati fenomeni sociali.

 

ALESSANDRO MAGNO

Alessandro nacque dal matrimonio di Filippo II con la principessa Olimpiade. Non era che uno dei numerosi figli del re macedone, ma l’unico legittimo: il padre lo allevò nella prospettiva che gli succedesse sul trono, da una parte abituandolo a esercitare il potere, dall’altra procurandogli il miglior maestro che il mondo greco potesse offrire, il grande filosofo Aristotele. Perciò nella personalità del giovane erano presenti al tempo stesso una certa crudeltà barbarica e un profondo rispetto per la cultura, come risultò evidente quando distrusse completamente Tebe, lasciando intatta solo la casa del famoso poeta Pindaro.

Legatissimo alla madre, Alessandro ne prese le parti quando Filippo la lasciò per sposare un’altra donna, e si narra che fosse d’accordo con Olimpiade quando questa fece strangolare il marito durante una banchetto. Secondo la tradizione, Alessandro era bello, biondo, chiaro di carnagione, con un occhio azzurro e uno nero. Coltissimo, da ragazzo sognava di portare ai popoli dell’Oriente la civiltà greca di cui era fervido ammiratore; ma quando divenne re, quell’aspirazione divenne prima sete di conquista, poi culto di sé, al punto che pretendeva di essere adorato come un dio.

Durante i dieci anni della guerra di conquista in Asia, il progetto di Alessandro si trasformò: ammaliato da quelle culture, volle creare un unico immenso Stato, dalla forte impronta orientale. Egli impose il proprio dominio, ma al tempo stesso incoraggiò le diverse popolazioni a mantenere la loro identità. Allo scopo di fondere il mondo greco con quello persiano, lui stesso sposò prima Rossana, principessa di una lontana regione asiatica, poi Statira, figlia dell’imperatore Dario. In occasione di quest’ultimo matrimonio, pretese che fosse celebrato anche quello di 80 suoi ufficiali con altrettante giovani aristocratiche persiane.

Fondato il nuovo impero, Alessandro, stimolato dall’ansia di conoscere, si spinse con i suoi uomini nelle terre più lontane mai raggiunte dagli Occidentali: con intuizione veramente moderna, diede ordine al suo ammiraglio Nearco, che compiva lo stesso percorso navigando lungo le coste dell’Oceano Indiano, di annotare usi e costumi delle genti locali.

La morte precoce di Alessandro contribuì a farne un mito: l’audacia senza limiti, l’energia estrema, la volontà di superare ogni orizzonte, lo resero una figura inimitabile.

SANDRO PERTINI

Nato a Stella (SV) il 25 settembre 1896, Alessandro Pertini si laureò in legge e in scienze politiche e sociali. Dopo aver combattuto nella prima guerra mondiale, Pertini si iscrisse al PSI nel 1918. Oppositore del fascismo, fu tra gli organizzatori della fuga di Filippo Turati. Vennero poi l’esilio in cui si adattò a ogni mestiere, il rientro in Italia con il carcere e il confino, il reciso rifiuto della domanda di grazia inoltrata al duce dalla madre, l’amicizia in carcere con Gramsci. Dopo l’evasione dalle carceri tedesche a Roma nella primavera 1944, raggiunse il Nord e rappresentò il PSI nel CLNAI. Dopo la liberazione fu nel 1945 segretario del PSI e a lungo direttore del “Lavoro” di Genova. Assertore dell’autonomia del PSI, nel 1948 fu contrario alla formazione della lista del Fronte popolare, ma operò sempre per l’unità della sinistra. Presidente della Camera dal 1968 al 1978, Pertini fu eletto presidente della repubblica l’8 luglio da una maggioranza assai vasta. Fin dal suo discorso di insediamento proclamò di volere essere il presidente dell’unità nazionale. Richiamandosi di continuo alla Costituzione e al nesso inscindibile tra giustizia e libertà, ricordò i “patrioti” con cui aveva condiviso “le galere del tribunale speciale, i rischi della lotta antifascista e della resistenza”. Per l’Italia intravedeva una funzione di pace: “si svuotino gli arsenali di guerra, sorgente di morte, si colmino i granai”. Pertini, in un momento di grave crisi per il paese e le sue istituzioni, seppe divenire un punto fermo di riferimento e conquistare l’affetto degli italiani, al di là delle sue singole scelte. Morì a Roma il 25 febbraio 1990.

L’OVRA

La riorganizzazione della polizia operata nel corso del 1927 da Arturo Bocchini, sotto l’attenta direzione di Mussolini, ebbe come perno centrale e fiore all’occhiello la costituzione dell’OVRA, un organo specificamente destinato alla repressione delle attività antifasciste, con modalità d’azione più snelle e sbrigative di quelle dei normali uffici di polizia. L’OVRA fu sempre volutamente circondata da un alone di mistero per sottolinearne l’immagine di onnipresenza e capillarità. La notizia della sua esistenza, per esempio, non fu mai data ufficialmente, ma si ebbe da un comunicato del capo del governo, pubblicato dal “Popolo d’Italia” all’inizio del 1931, in cui informava che erano stati ricevuti a Palazzo Venezia “gli alti funzionari dell’OVRA”. Non mancarono indecisioni nella determinazione del significato preciso della stessa sigla. Tra le interpretazioni accreditate, oltre quella, che è la più attendibile, di Organizzazione per la vigilanza e la repressione dell’antifascismo, vi erano “Organo vigilanza reati antistatali” e “Opera volontaria repressione antifascismo”. Sembra, inoltre, che tale monogramma trovasse il consenso di Mussolini soprattutto per l’assonanza con il termine “piovra”, evocativo del ruolo che la polizia segreta doveva assumere all’interno della società italiana. L’azione dell’OVRA consistette nello stendere all’interno del paese, ma anche all’estero, una fitta rete di informatori e delatori, sulla cui attendibilità ed estrazione non veniva fatto alcun lavoro di filtro o di selezione, al fine di reperire notizie su qualsiasi opera di supposta opposizione al fascismo. Contro le persone così individuate l’OVRA si muoveva poi nella maniera più decisa, eseguendo perquisizioni, controlli, arresti ed estendendo la sua azione in taluni casi anche al di là dei confini nazionali.

 

1965 – IL LIBRO IN EDICOLA: GLI OSCAR

Il 27 aprile 1965 apparve nelle librerie, cartolibrerie ed edicole una nuova edizione di Addio alle armi di Ernest Hemingway. Aveva un formato tascabile, costava solo 350 lire, era il primo di una serie di volumi pubblicati settimanalmente, che potevano essere acquistati dappertutto, come qualsiasi altro periodico. Apparvero poi La ragazza di Bube di Carlo Cassola, Un amore di Dino Buzzati e tanti altri romanzi contemporanei. Facevano parte di una nuova collana di Mondadori, gli Oscar, nella quale era prevista la pubblicazione integrale di romanzi e poi anche di saggi, la cui prima edizione risalisse ad almeno tre anni prima. Non era la prima volta che una casa editrice italiana lanciava sul mercato libri tascabili: nel 1949 la Rizzoli aveva dato il via alla BUR, che da allora andava pubblicando classici della letteratura di ogni epoca. Ma gli Oscar Mondadori costituivano una fondamentale novità, perché per la prima volta il libro si adattava alle forme dei mass media più moderni, tanto che uno degli slogan della campagna pubblicitaria era: “I libri transistor che fanno biblioteca”. Gli Oscar riservavano inoltre particolare attenzione all’aspetto esteriore del libro, che, a differenza della copertina grigia dei volumetti della BUR, si caratterizzava per la vivacità dei colori e delle soluzioni grafiche. Per le giovani generazioni gli Oscar costituirono uno stimolo notevolissimo alla lettura, come testimoniavano le tirature: a ottobre, i 23 volumi già usciti avevano già avuto una tiratura complessiva di oltre 5 milioni di copie, oltre 250.000 in media per volume. Erano tirature sconosciute all’editoria italiana. A giugno uscirono anche i Garzanti per tutti con La paga del soldato di William Faulkner, Moll Flanders di Daniel Defoe, Un amore di Swann di Marcel Proust, e la serie di Angelica di Anne e Serge Golon, che ebbe un grande successo popolare e ispirò una serie di fortunati film. In seguito molti editori lanciarono collane tascabili che si rivolgevano al nuovo pubblico di massa delle edicole.