QUESTA È UNA RACCOLTA DI NOTIZIE E FATTI STORICI, ADATTA PER RICERCHE SCOLASTICHE E PER ARRICCHIRE IL PROPRIO BAGAGLIO CULTURALE.

IL PARTIGIANO

Partigiano italiano, maquisard francese, gueux olandese, andarte greco, partizan iugoslavo… Chi combatte contro i nazisti è in tutta Europa lo stesso: un uomo o una donna che, seguendo la voce della coscienza e del dovere, prende le armi per liberare il suo Paese dagli invasori.

La Resistenza è ovunque una lotta clandestina, ovunque si realizza con i metodi della guerriglia. Il suo scopo è innanzitutto quello di ostacolare i movimenti del nemico e provocare il maggior danno possibile alle sue strutture militari. Occorre perciò spezzare i collegamenti tra i reparti tedeschi, mirando in particolare a impedirne i rifornimenti: far saltare i binari, far crollare ponti e gallerie, minare tratti di strada, distruggere locomotive e automezzi, porre fuori uso impianti di trasmissione e centrali idroelettriche.
Altro obiettivo della guerra partigiana è l’eliminazione fisica dei nemici più pericolosi: i capi militari dell’esercito avversario, i collaborazionisti, i torturatori; oppure far fuori interi posti di blocco.
I partigiani hanno bisogno di rifornimenti: cibo, benzina, armi. Per procurarseli assaltano i depositi alimentari dei Tedeschi, scaricano il bestiame dai treni, prelevano il carburante dai piccoli aeroporti, sottraggono mitragliatrici e munizioni dagli arsenali delle caserme. Quando è inevitabile, ricorrono alle requisizioni, ma per lo più la popolazione civile li aiuta con altruismo, privandosi di quel poco che possiede per contribuire alla lotta comune.

Talvolta la guerriglia, si trasforma in battaglia vera e propria: allora la furia tedesca si scatena in saccheggi, incendi e violenze, le cui conseguenze ricadono sui civili inermi, così come i rastrellamenti (cioè la caccia operata palmo a palmo dai nazifascisti alla ricerca di partigiani o di renitenti alla leva o di chi li appoggia). I rastrellamenti si concludono con la cattura dei ricercati o, in assenza di questi, di un certo numero di civili che saranno fucilati per vendetta. L’effetto dei rastrellamenti è quello di terrorizzare la popolazione: i Tedeschi sfruttano questo atteggiamento psicologico per creare una frattura tra i partigiani e i civili, molti dei quali non sono più disposti ad appoggiare concretamente il movimento di liberazione. Feroci manifesti minacciano ferro e fuoco a chi, in qualunque modo, protegga i “banditi”.

Ciò semina sconforto e disorientamento tra i partigiani, che si sentono responsabili delle orribili rappresaglie nemiche: ma “guerra è guerra” e si va avanti sostenuti dalla volontà di vincere.
Per quanto riguarda l’Italia, i partigiani sono militanti antifascisti (passati dopo l’8 settembre all’opposizione concreta), ex-militari, contadini, valligiani, cittadini (soprattutto operai e professionisti), animati da un acceso spirito di ribellione e dalla febbrile volontà di combattere. Inizialmente essi si dedicano soltanto a opere di sabotaggio e a brillanti colpi di mano, ma ben presto si rendono conto della necessità di un’organizzazione rigida: le bande si trasformano in unità organiche, con una ferma disciplina, una gerarchia precisa, un inquadramento regolare. Ogni banda si articola in distaccamenti, che a loro volta si suddividono in squadre. A capo di ogni banda c’è un comandante che destina i servizi (vedetta, staffetta) e la specializzazione (squadra d’assalto, squadra logistica, cioè di trasporto viveri e materiale, ecc.), con turni e ispezioni. Ciascun partigiano risponde in prima persona delle armi e del materiale di cui dispone: eventuali gesti di indisciplina o di scorrettezza vengono puniti con sanzioni che vanno dalla limitazione delle sigarette al raddoppio dei turni di guardia, all’espulsione, sino alla fucilazione.

Le bande ricevono periodicamente la visita dei commissari politici, partigiani con l’incarico di promuovere tra i compagni un processo di educazione e maturazione politica. Essi spiegano che l’Esercito di Liberazione Nazionale è un esercito nuovo e rivoluzionario che non ha nulla da spartire con quello sabaudo: che il CLN (Comitato Liberazione Nazionale) è l’unico organo che, dopo la fuga del re, operi la Resistenza attiva contro i nazifascisti; che compito dei partigiani non è solo cacciare i Tedeschi, ma anche porre le basi per un processo democratico che investa tutta la struttura sociale e politica del Paese.

Resistere non è facile: il freddo, la fame, la diffidenza delle popolazioni, l’incertezza del domani, la ferocia sempre maggiore dei nemici rischiano di indebolire gli animi. Ma questi ostacoli sono compensati dallo slancio di tanti generosi: donne che portano da mangiare, montanari che fanno da guida sui valichi, sacerdoti che colgono le motivazioni sociali di questa guerra popolare. E aiuti vengono anche dagli Alleati che, sia pur in misura inferiore rispetto alla necessità, per mezzo di lanci dagli aerei (preannunciati da messaggi in codice trasmessi via radio e attuati là dove brillano i fuochi di segnalazione), forniscono armi e viveri.
Venti mesi di fatiche, rinunce, pericoli, sofferenze: ma alla fine, la libertà.