QUESTA È UNA RACCOLTA DI NOTIZIE E FATTI STORICI, ADATTA PER RICERCHE SCOLASTICHE E PER ARRICCHIRE IL PROPRIO BAGAGLIO CULTURALE.

LUIGI XIV

Luigi XIV, detto “il Grande”, nacque nel 1638 dal matrimonio del re Luigi XIII con Anna d’Austria, figlia del re di Spagna. I genitori si erano sposati adolescenti, secondo l’abitudine delle famiglie regnanti; il padre morì a poco più di 40 anni, lasciando erede il piccolo Luigi, che non ne aveva ancora compiuti 5. Di carattere capriccioso e al tempo stesso autoritario, poco incline allo studio sistematico, il giovane principe durante la reggenza della madre fu educato dal cardinale Mazarino, che gli insegnò l’arte del governo come egli stesso la praticava: trarre vantaggio dalle rivalità degli altri, creare divisioni fra gli avversari, circondarsi di persone fidate ma prendere ogni decisione nella massima segretezza, preferire i colpi di scena sia in politica estera sia in politica interna.

Luigi XIV incarnò la figura del sovrano assoluto: la sua affermazione “Lo Stato sono io”, che identifica la nazione con la persona del re, ne rivelava la volontà di governo personale, accentratore e tirannico.
Dopo aver trasferita la corte da Parigi a Versailles (1682), egli la lasciò soltanto per partecipare alle campagne militari, preferendo trascorrere la sua giornata in modo sempre uguale: il mattino, sveglia alle 8; riunioni con i ministri dalle 10 alle 12; messa alle 12,30; pranzo, il pomeriggio, passeggiata o caccia; quindi cena e poi conversazione, o gioco (roulette, carte), oppure ballo, o teatro.

A poco più di vent’anni, Luigi sposò Maria Teresa di Spagna da cui ebbe sei figli: ciò non gli impedì di avere ben quattro “favorite”, cioè amanti ufficiali, che complessivamente gli diedero sedici figli illegittimi. La marchesa di Montespan, seconda in ordine di tempo tra le favorite, madre di otto dei suoi figli naturali, scelse quale governante del primogenito maschio madame de Maintenon, donna religiosissima, severa e rigorosa: fu costei la seconda moglie legittima di Luigi XIV, sul quale aveva un ascendente straordinario. Negli ultimi anni, ormai malato, il re, terrorizzato dall’idea di morire, dedicava gran parte del suo tempo alle pratiche religiose: messa, rosario, vespro, confessione, comunione, digiuno, quaresima.

Quando morì (1715), non solo non fu rimpianto, ma anzi centinaia di canzoni, barzellette, giochi di parole furono creati per salutarne la fine: nelle piazze di Parigi come nei villaggi si ballò sino a notte avanzata.
La salma fu trasportata da Versailles all’abbazia parigina di Saint Denis: lungo il percorso il corteo funebre, costituito da un piccolo gruppo di cortigiani, fu accolto con bestemmie dal popolo che lanciava sassi e manciate di fango contro il feretro.

Quattro anni prima era morto il Delfino, e poco dopo il figlio del Delfino: la corona toccò dunque al bisnipote del Re Sole, il futuro Luigi XV.

 

1942 – LA BATTAGLIA DI EL ALAMEIN

Al momento dell’attacco inglese sul fronte che da El Alamein, sulla costa mediterranea dell’Egitto, si protendeva verso la depressione di El Qattara, in pieno deserto del Sahara, i rapporti tra le forze alleate e le forze dell’Asse erano enormemente favorevoli alle prime.
Lungo i 65 km di fronte erano schierati 230.000 britannici contro gli 80.000 italo-tedeschi. Gli Alleati allineavano 900 cannoni e 1350 carri armati contro i 500 pezzi d’artiglieria e altrettanti carri degli avversari; 1200 aerei contro 400 garantivano ai piloti della RAF (Royal Air Force) il dominio dell’aria. I febbrili preparativi che il comandante dell’VIII armata britannica Bernard Law Montgomery era andato approntando dal momento del suo insediamento, avvenuto il 13 agosto, erano passati completamente inosservati.
Quando, alle 21.40 del 23 ottobre 1942 le artiglierie inglesi si misero a sparare tutte insieme per preparare il terreno all’attacco delle fanterie e dei carri, l’effetto sorpresa fu totale. Il generale Erwin Rommel era assente per una licenza, e il generale von Stumme, che lo sostituiva, morì nelle prime ore dell’offensiva in seguito a un attacco cardiaco. Rommel arrivò il 26 ottobre, quando la situazione era ormai irreparabilmente compromessa. Ad aggravarla giunse l’ordine di Hitler di mantenere la posizione a ogni costo, mentre sarebbe stato saggio procedere a una rapida ritirata per tentare di salvare il più possibile di uomini e di mezzi. I tentativi di contrattacco e di resistenza degli italo-tedeschi furono tutti respinti e portarono alla progressiva decimazione dei reparti gettati negli scontri. Le divisioni del XX corpo d’armata italiano, Folgore, Ariete, Littorio, Trento, Trieste, Pavia, Bologna e Brescia, furono annientate.
Gli inglesi catturarono 30.000 uomini. Il 4 novembre venne finalmente dato l’ordine di ripiegamento generale: aveva inizio l’inarrestabile marcia degli Alleati verso Tunisi, conclusasi con la cacciata degli italo-tedeschi dall’Africa.

 

LA MEGATTERA

Megaptera novaeangliae
Famiglia: Balenotteridi

Caratteristiche: Lunghezza senza coda 12-18 m, peso 25-33 t. La femmina è un po’ più grande del maschio. Colorazione nera nella parte superiore, da grigio maculata a bianca in quella inferiore; pinne pettorali strette e molto lunghe; capo e margine delle pinne pettorali con numerose protuberanze; pinna caudale irregolarmente dentellata sul margine posteriore; 15-40 solchi golari; fanoni neri; soffio molto ampio, alto solo 2 m.

Diffusione: in tutto il mondo nei grandi oceani.

Habitat: acque costiere ricche di cibo.

Abitudini: vive in gruppi familiari composti da 3 a 20 individui al massimo; nuota molto lentamente; a volte salta fuori dall’acqua con tutto il corpo; migrazioni stagionali regolari tra zone polari ricche di cibo e zone tropicali e sub-tropicali in cui sverna; emette vari suoni sott’acqua.

Alimentazione: piccoli gamberi del plancton, anche piccoli pesci di branco.

Riproduzione: periodo di accoppiamento (nell’emisfero settentrionale) IV; gestazione 10 mesi; ogni 2 anni 1 piccolo (rari i gemelli), che viene allattato per almeno 6 mesi.

A confronto con gli altri Balenotteridi, la megattera appare tozza e pesante. La sua velocità, di soli 3-8 km/h, è una delle più basse tra i Cetacei e poiché staziona in prevalenza vicino alla costa è sempre stata una preda particolarmente facile per i balenieri. Un tempo era tra le specie animali maggiormente minacciate di estinzione.
Nelle loro migrazioni da Nord a Sud le megattere si mantengono “tradizionalmente” su percorsi fissi. Le megattere dell’Atlantico settentrionale migrano in primavera nel Mar Glaciale Artico passando tra la Groenlandia e l’Islanda e aggirando le Spritzbergen, e in autunno si spostano nuovamente verso Sud lungo le coste norvegesi oltrepassando le isole britanniche per arrivare al largo della costa occidentale spagnola. I grandi Misticeti non dispongono di un sistema di ecolocalizzazione come gli Odontoceti, tuttavia non sono muti. Nelle zone in cui si riproducono le megattere “cantano” sott’acqua lunghe canzoni che, registrate con microfoni subacquei, sono perfino entrate in commercio su disco. Assomigliano a musica elettronica mista ad un russare, a grida di gabbiani e rumore di porte che scricchiolano. I Cetacei non riproducono sempre meglio una stessa melodia appresa una volta per tutte, come fanno gli uccelli canori, ma “compongono” ogni anno nuove canzoni. Probabilmente questi canti servono a stabilire contatti tra conspecifici o per la ricerca del partner. Di solito i Cetacei non cantano tutti contemporaneamente, ma lasciano, come cortesi interlocutori, che ciascuno abbia terminato.

 

Il quercino

Eliomys quercinus
Famiglia: Gliridi

Caratteristiche: Lunghezza senza cosa 11-17 cm, lunghezza coda 9-13 cm, peso 50-120 gr, in autunno fino a 180 gr. Parte superiore bruno-rossiccia, parte inferiore bianca, disegno nero sul muso, coda con ciuffi di setole bianco-nere; orecchie grandi, membranose.

Diffusione: Europa meridionale e centrale, zone dell’Europa orientale; Asia Minore.

Habitat: boschi di latifoglie, di conifere e misti, boscaglia, vigneti, in montagna fino a 220 m.

Abitudini: notturno; corre agilmente tra i rami, spesso anche a terra; costruisce il nido nelle cavità dei tronchi, in anfratti delle rocce o in nidi artificiali; di solito si nasconde sotto terra per il letargo.

Alimentazione: prevalentemente animali (farfalle, bruchi, Coleotteri, cavallette, ragni, lumache, piccoli uccelli, uova, nidiacei, topi giovani); in autunno soprattutto frutti, semi, bacche.

Riproduzione: periodo di accoppiamento IV-IX; gestazione 23 giorni; 3-7 piccoli nudi e ciechi, che a 18 giorni aprono gli occhi, vengono allattati per 4 settimane e abbandonano il nido per la prima volta a 30 giorni.

Il quercino costruisce il nido estivo sia sugli alberi sia a terra e non lo imbottisce di foglie, come il ghiro, ma di erba e muschio. A volte più quercini si riuniscono in comunità che tuttavia hanno scarsa coesione, perché di solito ognuno mantiene il proprio nido. La femmina in attesa dei piccoli impregna del proprio odore il suo nido e lo difende accanitamente. I piccoli, partoriti dopo una breve gestazione, sono ancora molto immaturi, come nella maggior parte dei Roditori. Solo dopo 18 giorni aprono gli occhi ed acquistano la capacità uditiva. Leccano avidamente dalla bocca della madre la saliva, che contiene probabilmente, come il latte materno, sostanze importanti per lo sviluppo. Crescono poi in fretta e presto abbandonano il nido. A volte la femmina guida i piccoli in un modo simile a quello dei toporagni: i piccoli formano una catena attaccandosi uno all’altro come gli elefanti al circo e la madre sta in testa alla carovana. A 4-6 settimane i piccoli sono indipendenti. Devono, a quel punto, badare ad accumulare grasso sufficiente per l’inverno, per superare bene il loro primo letargo, poiché come tutti i Gliridi anche i quercini non approntano provviste per l’inverno.
Mentre in estate si nutrono prevalentemente di piccoli animali e di frutti succosi maturi, in autunno passano a un’alimentazione ad alto contenuto calorico costituita da noci, ghiande, faggiole o castagne. All’arrivo del gelo di solito più animali occupano un nido invernale comune, preparato in spaccature del terreno o in cunicoli di altri Roditori.

 

ARCHIMEDE

Archimede, nato a Siracusa, dopo aver trascorso alcuni anni al Museo di Alessandria (dove fu allievo dei maggiori scienziati del tempo), ritornò in patria per dedicarsi a ricerche di fisica, geometria e matematica.

Le sue scoperte furono molte, e tutte fondamentali per il successivo sviluppo della scienza: in particolare il famoso “principio di Archimede” che spiega il galleggiamento dei corpi nell’acqua (“Un corpo immerso in un liquido riceve una spinta dal basso verso l’alto pari al peso del fluido spostato”).

Archimede individuò anche le regole per calcolare le aree delle superfici e dei volumi nelle figure solide; la legge di equilibrio della leva; il valore del Pi greco (cioè il rapporto tra il raggio e la circonferenza di un cerchio); il metodo per risolvere le equazioni cubiche e le radici quadrate.

Benché non desse nessuna importanza all’applicazione pratica della sue teorie (tanto che non volle mai metterle per scritto), Archimede fu uno straordinario ingegnere, come dimostrò, per esempio, con l’invenzione della “vite senza fine”, che serviva a sollevare l’acqua semplificandone il trasporto nelle opere di irrigazione.

Molte sono le leggende nate intorno alla sua persona e alla sua attività; si diceva che fosse terribilmente distratto, e che avesse un carattere entusiasta e vivace (probabilmente inventata è la tradizione secondo cui, dopo ogni scoperta, esclamava “Eureka!”, che in greco significa “Ho trovato!”).

Si raccontò che quando Siracusa fu aggredita dai Romani (214 a.C.), egli contribuì alla lotta contro gli assedianti inventando alcune macchine da guerra che ritardarono di due anni la presa della città.
Tuttavia i Romani riuscirono a impadronirsi di Siracusa: il loro comandante aveva vietato che Archimede, la cui fama era nota a tutti, venisse ucciso, ma quando un soldato entrò in casa sua e lo scienziato lo squadrò sprezzante ordinandogli di non disturbare i suoi calcoli, il soldato furibondo lo uccise.

Sulla tomba di Archimede fu scolpito un cilindro circoscritto da una sfera per ricordare una delle sue maggiori intuizioni, secondo cui la superficie della sfera è uguale a quella del cilindro circoscritto.

 

Il procione

Procyon lotor
Famiglia: Procionidi

Caratteristiche: Lunghezza senza coda 50-70 cm, lunghezza coda 20-30 cm, peso 5-10 kg. Grande quanto una volpe, ma più tarchiato: pelliccia bruno-grigia, muso con maschera bianco-nera, coda folta con 4-5 anelli scuri.

Diffusione: America settentrionale e centrale; in Germania e in Unione Sovietica deliberatamente messo in libertà o fuggito da allevamenti di animali da pelliccia, oggi diffuso fino alla Francia nord-occidentale e all’Olanda.

Habitat: boschi di latifoglie e misti, parchi, vicino all’acqua.

Abitudini: notturno; solitario; si arrampica e nuota bene; dimora diurna e allevamento dei piccoli in cavità dei tronchi, spesso a 10-12 m di altezza; tasta e ispeziona il cibo con le zampe anteriori; riposo invernale in regioni fredde.

Alimentazione: piccoli animali acquatici, insetti, lombrichi, uova di uccelli e nidiacei; in autunno prevalentemente bacche, frutti e prodotti agricoli.

Riproduzione: periodo di accoppiamento I-III; gestazione 63 giorni; 2-5 piccoli ciechi e sordi con il pelo rado; le orecchie si aprono il 13° giorno e gli occhi il 22°; a 6 mesi sono indipendenti.

Nella ricerca del cibo i procioni usano le zampe come mani e nelle acque poco profonde cercano le loro prede sotto i sassi o nel fango, spesso con lo sguardo perso nel vuoto. Questo comportamento è per loro istintivo e gli animali tenuti in cattività lo manifestano gettando in acqua i pezzi di pane loro lanciati per ripescarli subito. Questi “gesti sostitutivi” hanno portato all’opinione, scorretta, che i procioni “lavassero” il cibo per pulirlo prima di mangiare e per questo sono noti anche come orsetti lavatori. In primavera e in estate il procione si nutre principalmente di lombrichi, lumache e altri invertebrati e animali acquatici. Di solito non riesce a catturare animali veloci e non rappresenta perciò un grosso pericolo per la selvaggina minuta di un terreno di caccia; il danno causato dall’occasionale saccheggio di qualche nido è di solito sopravvalutato. Questi simpatici animali, che furono portati in Europa circa 50 anni fa per la loro pelliccia, si sono nel frattempo moltiplicati nei nostri boschi fino ad arrivare approssimativamente a qualche decina di migliaia. Per contenerne la diffusione, la caccia al procione è permessa senza eccezioni ma i suoi esiti sono irrilevanti a causa delle abitudini notturne e molto furtive di questo animale.
Mangiando ghiande, prodotti agricoli e tutto ciò che trovano, i procioni accumulano in autunno uno strato di grasso il più spesso possibile, per poter sopravvivere nei magri mesi invernali. In caso di gelo prolungato osservano, come gli orsi bruni, un periodo di riposo invernale.

 

I LEGIONARI

Venticinque anni al servizio dello Stato, una vita intera dedicata a Roma: questo il merito del legionario che, arruolato giovanissimo nelle file dell’esercito, nel corso della carriera ne assolve tutti i compiti.
La sua figura è sicuramente quella di un protagonista della storia di Roma, dagli albori fino alla decadenza: indispensabile prima per la conquista, poi per la difesa, è al centro dell’attenzione politica (si pensi per esempio alla questione della distribuzione della terra) e sociale (la divisione in classi).
Infatti, anche se la sua principale funzione è quella di combattente, i mestieri cui il soldato romano deve adattarsi sono molti, primo fra tutti quello del costruttore: in qualità di muratore, carpentiere, fabbro, gli tocca costruire le strade su cui le truppe coprono le distanze tra Roma e i lontani (a volte lontanissimi) campi di battaglia. Non raramente la strada deve superare un fiume, e allora bisogna anche innalzare un ponte.
Una volta giunti a destinazione, prima di tutto i soldati preparano una linea di fortificazione, all’esterno della quale vengono predisposti dei sistemi di difesa semplici ma efficaci: file di rami appuntiti, buche in cui sono infissi pali che terminano con ferri uncinati.
Se è prevista una lunga permanenza nello stesso territorio, ai legionari si richiede di costruire un accampamento in muratura, il castrum. Si tratta di un quadrilatero il cui perimetro è segnato da un muro di cinta e da un doppio fossato. All’interno è attraversato da due strade perpendicolari (il cardo da Nord a Sud e il decumanus da Est a Ovest) che si concludono con quattro porte, mentre nel punto d’incontro sorgono uno spiazzo coperto dove si fa l’appello, e l’arsenale, un vasto edificio in cui sono conservate le armi. A fianco dell’arsenale sorge un tempietto con le immagini degli dei, le insegne della legione e il ritratto dell’imperatore.
Il castrum era così completo che costituì la base su cui vennero poi edificate molte città dell’Impero, da Torino a Brescia, da Coblenza a Strasburgo a Timgad (Algeria).
La maggioranza dei castra fu costruita sul limes, il confine fortificato che difendeva l’impero dai suoi nemici: infatti i legionari di stanza sul limes ben raramente venivano impegnati in combattimenti e, dovendo rimanere nello stesso luogo magari per anni, avevano bisogno di una sede sufficientemente stabile. Intorno a essa sorgevano della cabanae, cioè un insieme di baracche, osterie e botteghe dove i soldati ingannavano il tempo insieme con gli abitanti del luogo bevendo e giocando a dadi o alla mora. Non di rado accadeva che i legionari sposassero ragazze del posto e che, una volta terminato il servizio militare, anch’essi vi si stabilissero definitivamente. Il congedo veniva concesso solo dopo 25 anni, insieme con una somma di denaro che spesso era sufficiente per acquistare un piccolo podere. Il legionario riceveva anche un premio di fedeltà se il suo rapporto con il comandante era stato leale. Non si contano i generali che poterono contare sull’appoggio delle truppe per raggiungere i propri scopi, non sempre onesti: Mario, Pompeo, Cesare, sino a quelli che si fecero nominare imperatori.

 

IL ROMANZO PSICOLOGICO

Il romanzo psicologico è caratterizzato da una sottile, continua e minuziosa analisi interiore dei personaggi. Il tema dominante è l’esplorazione dell’inconscio, ossia della parte più profonda della psiche umana che spesso condiziona e determina le nostre azioni, i nostri comportamenti, le nostre scelte di vita. Di qui il romanzo psicologico, più che alla descrizione di fatti e ambienti, dà un grande valore allo studio dei personaggi, all’analisi delle loro emozioni, dei loro stati d’animo, dei loro travagli interiori.

Nato tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento, questo tipo di romanzo presenta una struttura completamente diversa rispetto a quella del romanzo tradizionale: la narrazione, infatti, anziché seguire un ordine cronologico dei fatti, segue il corso dei pensieri, delle emozioni, dei ricordi dei personaggi che di frequente ripercorrono il passato per prenderne coscienza e analizzarlo. In tal modo i fatti narrati si intersecano liberamente tra loro attraverso una continua alternanza di piani temporali (presente e passato).

Anche sul piano stilistico-espressivo il romanzo psicologico introduce delle novità: quali la tecnica del monologo interiore  e del flusso di coscienza.

Tra i più autorevoli rappresentanti del romanzo psicologico ricordiamo Italo Svevo, Luigi Pirandello, James Joyce.

 

MARTIN LUTHER KING

Nato nel 1929 ad Atlanta, in Georgia, uno Stato ex schiavista del Sud, Martin Luther King aveva sperimentato quanto fosse radicata fra i Bianchi americani la convinzione della loro superiorità e quanto fossero state tradite le aspirazioni dei Neri a una reale parità dei diritti.

Contro le leggi di molti Stati del Sud, che imponevano la discriminazione dei Neri nella scuola, nei trasporti pubblici, nel mondo del lavoro, King, ispirandosi al pensiero e all’azione di Gandhi, organizzò una serie di campagne non violente per ottenere che alla gente di colore fossero riconosciuti i diritti civili.

L’inizio della lotta risale a un episodio accaduto nella città di Montgomery (nell’Alabama), dove King era pastore della Chiesa battista. La sera del 1° dicembre 1955 una donna di colore fu arrestata dalla polizia per essersi seduta sull’autobus nella parte riservata ai Bianchi e per essersi rifiutata di lasciare il posto. King organizzò un boicottaggio dei mezzi pubblici che, appoggiato da quasi tutta la comunità nera, durò 381 giorni, finché la Corte suprema non dichiarò illegale la separazione razziale nei trasporti pubblici.

Successivamente, King organizzò una campagna contro la discriminazione razziale nei locali pubblici per mezzo di sit-in (letteralmente: sedersi dentro): i Neri occupavano gli spazi riservati ai Bianchi negli uffici, nei bar, negli alberghi, nelle piscine e sulle spiagge, e li abbandonavano solo se costretti dalla polizia.

Con questi metodi pacifici, King riuscì a coinvolgere l’opinione pubblica americana e a portare in Parlamento la questione della parità dei diritti civili fra Bianchi e Neri. La sua azione culminò nel 1963 con una marcia a Washington con la partecipazione di 250.000 persone di colore, durante la quale egli pronunciò il suo discorso più famoso:
”Io ho un sogno: che Bianchi e Neri possano vivere con gli stessi diritti e doveri […]”
Poco tempo dopo, King fu ricevuto da Kennedy, che gli assicurò il suo impegno a favore della popolazione nera.
Convinto pacifista, King si batté anche contro la guerra del Vietnam: nel 1964 gli fu assegnato il premio Nobel per la pace.
Nel 1968 fu assassinato da razzisti bianchi: a quel punto, per placare le manifestazioni di protesta scoppiate in tutto il Paese, il Parlamento americano approvò gran parte delle riforme da lui richieste.

LA CORAZZATA POTEMKIN

Uno degli episodi più noti della Rivoluzione russa del 1905 è l’ammutinamento della corazzata (nave da battaglia fornita di artiglieria pesante) Potemkin, alla fonda nel porto di Odessa sul Mar Nero con altre navi militari.

In giugno i marinai a bordo della Potemkin si ribellano alla prepotenza del comandante e si rifiutano di mangiare la carne avariata: immediatamente vengono condannati a morte, ma il plotone di esecuzione si rifiuta di eseguire la sentenza. E’ il segnale dell’ammutinamento: l’equipaggio sa di essere compatto e prende le armi. Nello scontro il capo della rivolta viene ucciso: la sua salma, trasportata a Odessa, viene onorata da migliaia di cittadini che poi si riuniscono per manifestare la loro solidarietà ai marinai. Contro di loro i cosacchi dello zar ricevono l’ordine di sparare senza pietà: molti cadono uccisi, mentre dalla Potemkin i marinai rispondono con l’artiglieria.

La corazzata viene isolata: le altre navi della flotta ricevono l’ordine di puntare i cannoni contro la ribelle, ma neppure un colpo parte e i marinai possono prendere il largo, salvi.