QUESTA È UNA RACCOLTA DI NOTIZIE E FATTI STORICI, ADATTA PER RICERCHE SCOLASTICHE E PER ARRICCHIRE IL PROPRIO BAGAGLIO CULTURALE.

L’URBANISTICA MEDIEVALE

Nei primi tempi le dimensioni delle città europee erano modeste: spesso avevano meno di 5000 abitanti. Generalmente erano circondate da alte mura e da profondi fossati, e munite di torri e porte massicce: artigiani e mercanti componevano l’esercito cittadino che prestava un servizio di guardia.
Con l’aumento della popolazione sorsero, intorno alle mura cittadine, piccoli villaggi che poi a loro volta vennero inclusi in un nuovo anello di mura e di fortificazioni. Ma ancora nel XIII secolo, quando alcune grandi città (Milano, Venezia, Firenze, Genova, Palermo, Napoli, Parigi) superavano ormai i 100.000 abitanti, altri centri, come Londra, Barcellona, Siviglia, Amsterdam e Colonia non raggiungevano i 20.000.
La città medievale aveva un aspetto molto diverso da quello delle città moderne, e non conservava nessuna traccia degli edifici caratteristici della città antica (il foro, le terme, il circo).

Il monumento urbano per eccellenza era la cattedrale, sede del vescovo e centro del potere religioso e civile. Tuttavia la distribuzione degli spazi era del tutto irregolare: cappelle e chiese sorgevano a caso, le vie erano sinuose, le case sparse.
Le chiese presentavano la grande innovazione di campanili altissimi che dominavano il profilo della città e che, con il richiamo delle campane, ricordavano ai cittadini i loro doveri di Cristiani e scandivano i diversi momenti della giornata.
Con l’aumento degli aspetti produttivi e mercantili della città, si realizzò una nuova suddivisione dello spazio urbano fra i diversi quartieri di lavoro, i mercati, i grandi palazzi. Gli artigiani di una stessa “arte” lavoravano e abitavano nella stessa strada, così che si avevano le vie dei fabbri, degli armaioli, dei falegnami, dei tessitori ecc.

Le case erano strettamente addossate l’una all’altra; mancava l’illuminazione pubblica e non c’erano fognature, sostituite da rigagnoli che scorrevano in mezzo alle strade.
Quasi tutte le città medievali erano costruite sulla stessa pianta: mentre la città romana era a scacchiera, con le strade che si tagliavano ad angolo retto, quella medievale aveva forma a raggiera, con le strade che si irradiavano dalla piazza centrale verso la campagna.
Intorno, sorgevano i palazzi delle famiglie più ricche, spesso affiancate da torri che potevano avere funzioni di difesa, ma soprattutto stavano a dimostrare la potenza della città.

 

GIULIO CESARE

Gaio Giulio Cesare, nato nel 100 a.C., apparteneva a una famiglia della più antica nobiltà romana, seguace del partito popolare, cui anch’egli era fedele: ciò gli valse la persecuzione di Silla, che al di là della rivalità politica aveva individuato in quel giovane ambizioso una possibile minaccia per il proprio potere.
Dopo un’esperienza inconsueta (fu catturato dai pirati e tenuto in ostaggio 40 giorni), morto Silla, Cesare si lanciò nella vita politica, sorretto da un’intelligenza eccezionale, da una volontà energica e da un patrimonio immenso. Quest’ultimo si rivelò presto insufficiente, in quanto Cesare, per far fronte agli obblighi che le sue cariche comportavano, spendeva anche il suo denaro personale in enormi quantità: per la manutenzione della via Appia (di cui fu incaricato come edile nel 65 a.C.), per gli spettacoli (a cui la plebe era invitata ad assistere gratuitamente), per la distribuzione di cibo ai nullatenenti.

Al favore della plebe, che l’accompagnerà tutta la vita, si aggiunge ben presto quello dell’esercito. Prima come propretore in Spagna, poi, dal 59 a.C., come preconsole nelle Gallie, Cesare si rivela non solo audace stratega, ma anche ottimo comandante: i soldati lo amano perché egli divide con loro le fatiche e i pericoli della guerra, ma anche i bottini.

Nel corso di dieci anni, Cesare conduce una serie di campagne vittoriose contro gli Elvezi, i Germani, i Belgi, i Sigambri. Organizza due spedizioni in Britannia; combatte contro gli Svevi e doma l’insurrezione degli Arverni, capeggiata dal valoroso Vercingetorige.
La sua vita personale s’intreccia con i grandi eventi di Roma: il primo matrimonio, con la figlia di un nemico di Silla; la relazione con la regina d’Egitto Cleopatra, che conduce con sé a Roma destando uno scandalo inaudito; l’ultimo matrimonio con Calpurnia.
Cesare ha una sola figlia legittima, Giulia, che sposerà Pompeo, e un numero imprecisato di figli illegittimi, tra cui Cesarione, nato da Cleopatra, e Bruto, che egli adotterà.
Quando, sconfitto Pompeo, diviene padrone di Roma, Cesare dà prova della sua capacità politica sommando nella sua persona tutte le cariche dello Stato ma mantenendo, almeno esteriormente, il rispetto della legalità: tribuno della plebe, comandante in capo dell’esercito in pace e in guerra, censore, pontefice massimo, “padre della patria”, egli è in sostanza un sovrano assoluto, anche se governa con equità.
Ma il suo piano di costruzione di un impero universale, erede di quello di Alessandro Magno, mirante ad assicurare l’uguaglianza di tutti i sudditi e l’unificazione dei territori conquistati in nome di Roma, viene troncato dai congiurati alle Idi di marzo, cioè il 15 marzo del 44 a.C.
Cesare fu anche ottimo scrittore, dotato di capacità rare di sintesi e di efficacia, che rivelò in due opere: La guerra di Gallia e La guerra civile.

 

ROBESPIERRE

Eletto deputato agli Stati Generali per la provincia di Arras dove è nato nel 1758, Maximilian Robespierre emerge subito per la sua eccezionale capacità oratoria e per l’intransigenza con cui persegue i fini della rivoluzione: non per nulla sarà soprannominato l’incorruttibile, anche grazie al rigore della sua severa vita privata.
Nel 1790 diviene il capo dei Giacobini: richiamandosi al pensiero di Rousseau, egli sostiene l’urgenza della sovranità popolare e dà inizio a una accesa campagna d’opinione a favore degli Ebrei, dei Protestanti e degli schiavi.
Con l’evolvere della situazione (lo scoppio della guerra e i moti controrivoluzionari), Robespierre si convince che i valori e le conquiste della Rivoluzione vanno difesi anche a costo di una dittatura, sia pure a sfondo sociale. Soprattutto alla sua volontà si deve il Terrore che egli giustifica affermando che la rivoluzione esige “terrore e virtù”.
Per imporre la virtù repubblicana, Robespierre introduce il culto dell’Essere Supremo, che si ispira agli ideali illuministici. Ma questa iniziativa contribuisce a farlo apparire come un dittatore. All’interno della Convenzione la sua popolarità diminuisce tanto quanto cresce l’insofferenza nei confronti del Terrore.
Arrestato con i suoi fedelissimi (tra cui il fratello Augustin), viene consegnato alla prigione del Lussemburgo, ma il custode si rifiuta di rinchiuderlo: a questo punto Robespierre e i suoi si rifugiano all’interno del Municipio per organizzare un’insurrezione, ma vengono arrestati e feriti. Il giorno dopo anche la testa di Robespierre cade sotto la lama della ghigliottina.

DANTON

Avvocato di provincia (era nato nella Champagne nel 1759), Danton è uno dei più infervorati montagnardi già dai primi giorni della Rivoluzione francese. Abilissimo oratore, egli infiamma i suoi ascoltatori esortandoli a prendere le armi e ad abbattere la monarchia.
Dopo la fuga del re a Varennes, Danton si batte per l’instaurazione della Repubblica; quando viene dichiarata la guerra egli chiede la leva di massa contro i nemici esterni ed i nemici interni della Rivoluzione. Eletto deputato alla Convenzione nazionale, quando la Francia rischia di essere invasa Danton propone l’istituzione del Tribunale Rivoluzionario e del Comitato di Salute Pubblica, contribuendo a porre le basi del Terrore.
Ma presto si rende conto dei pericoli che queste iniziative portano con sé e assume una posizione più moderata: odiato da Robespierre e dai rivoluzionari radicali, viene accusato di cospirazione e di corruzione. Durante il processo Danton difende se stesso e i suoi compagni con appassionata energia ma, benché senza prove, il Tribunale lo condanna a morte (5 aprile 1794). Prima di salire sulla ghigliottina, chiede al boia: “Mostra la mia testa al popolo, ne vale la pena!”.

MAURICE RAVEL

1875 – Nasce in una cittadina dei Pirenei francesi.

1905 – Scrive due significativi lavori per pianoforte: una Sonatina ed un ciclo di cinque pezzi dal titolo Miroirs (specchi).

1906 – Le sue Storie naturali per  canto e pianoforte suscitano un particolare scandalo per le forti novità espressive inserite.

1908 – Scrive la suite per pianoforte a 4 mani Mia mamma oca, ispirata al mondo delle fiabe.

1909 – Fonda, assieme ad alcuni amici, la Società Musicale Indipendente con lo scopo di diffondere la produzione di quei compositori giudicati troppo moderni e per questo rifiutati dagli ambienti concertistici tradizionali.

1914 – Con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale si arruola come autista: viene anche mandato in prima linea a Verdun ma, a causa della sua debole costituzione, viene presto congedato.

1917 – Termina un altro importante lavoro per pianoforte, Le Tombeau de Couperin (Omaggio funebre a Couperin), ispirato al musicista francese del primo Settecento.

1920 – Compone La valse (il valzer) per orchestra.

1922 – Orchestra i Quadri di una esposizione di Mussorgsky.

1923-28 – Intraprende con successo vari giri concertistici, come pianista e come direttore di propri lavori, in Europa, in Canada e negli Stati Uniti, dove incontra Gershwin. Compone l’operina Il bambino e i sortilegi e il Bolero.

1929-31 – Scrive due concerti per pianoforte e orchestra, uno dei quali per sola mano sinistra, come richiestogli da un pianista austriaco che aveva perso in guerra il braccio destro.

1932 – Incomincia a soffrire di gravi disturbi al cervello che progressivamente gli impediscono di leggere e di scrivere, poi anche di parlare.

1937 – Dopo un’inutile operazione muore a Parigi.

 

LA CANZONE DI ORLANDO

La “Canzone di Orlando” (Chanson de Roland) è un poema epico di 4000 versi in francese antico, probabilmente composto nel secolo XI, forse da un monaco di nome Turoldo.
E’ la più antica e più bella tra le chansons de geste (cronache in versi di grandi imprese) dedicate alla lotta tra la Francia cristiana e la “Paganìa”, cioè il mondo musulmano rappresentato come politeistico, idolatra, malvagio e nemico di Cristo.
La Chanson de Roland narra la lotta di Carlo Magno contro i Saraceni, e in particolare l’eroica battaglia di Roncisvalle, divenuta nel Medioevo un simbolo immortale.
Dopo aver conquistato tutta la Spagna salvo Saragozza, Carlo Magno accetta l’offerta di tregua di Marsilio, re dei Saraceni, e invia suo nipote, il coraggioso paladino Orlando, a trattare la pace. Al ritorno, Orlando guida la retroguardia che, per il tradimento di Gano di Maganza, viene assalita dai nemici, molto più numerosi: sconfitto, muore, non prima di aver spezzato la propria spada perché non cada in mano ai Mori.
Alla sua morte, Turpino, vescovo-cavaliere, suona l’olifante (grande corno ricavato da una zanna di elefante) perché Carlo Magno giunga a vendicare la morte dei suoi paladini. L’imperatore accorre, sia pur troppo tardi, e sconfigge i Saraceni: il traditore Gano viene impiccato e squartato.

Questo il racconto della Chanson de Roland, ma la realtà storica è ben diversa: nel 778 Carlo Magno, avendo ricevuto offerte di pace da alcuni sovrani arabi in disaccordo con i loro alleati, guidò due grandi eserciti contro Saragozza. Il piano fallì e Carlo Magno, riattraversando i Pirenei, cadde nell’imboscata tesa da una popolazione basca che, dopo avergli inflitto gravi perdite, si ritirò con una rapida fuga prima che le forze imperiali potessero organizzare una reazione efficace.
La Chanson de Roland fu scritta non per essere letta, ma per essere declamata sulle piazze, nei mercati e lungo le strade dei pellegrinaggi, davanti a folle che potessero inserire il nuovo racconto nel patrimonio delle loro conoscenze e inquadrarlo nella loro fede e nelle loro superstizioni.
La Chanson si serve di mezzi estremamente semplici: i suoi sono personaggi tutti d’un pezzo, di cui non per nulla si è impadronito il teatro siciliano dei “pupi”. Qui l’imperatore è il capo della cristianità, ma è anche il buon vecchio dai caldi sentimenti familiari che sviene davanti al cadavere del nipote.
In questo poema animato dall’ideale cristiano-imperiale, vi sono alti momenti di poesia e splendide immagini fiabesche, come la bella Durlindana, la magica spada di Orlando che sfavilla al sole, o il miracoloso olifante, il corno che strappa tristi echi alle orride gole dei Pirenei.
L’epopea di Roncisvalle, con la sua elementare e forte tragicità, ebbe un peso rilevante nel momento in cui la dinastia carolingia si sfasciava e la Francia viveva nuovamente sotto l’incubo dei barbari.