QUESTA È UNA RACCOLTA DI NOTIZIE E FATTI STORICI, ADATTA PER RICERCHE SCOLASTICHE E PER ARRICCHIRE IL PROPRIO BAGAGLIO CULTURALE.

IL CONCILIO ECUMENICO VATICANO II

Annunciato da papa Giovanni XXIII il 25 gennaio 1959, il concilio ecumenico Vaticano II fu aperto l’11 ottobre 1962 con una cerimonia trasmessa dalla televisione. Nel discorso di apertura Giovanni XXIII manifestò di prefiggersi l’aggiornamento della dottrina della Chiesa, consapevole “delle deviazioni, delle esigenze e delle opportunità dell’età moderna”. Rispetto al mondo contemporaneo Giovanni XXIII esprimeva la sua preferenza per un atteggiamento di misericordia piuttosto che di condanna. Con il suo discorso di grande apertura e di grande fiducia nella capacità di un’azione dinamica della Chiesa nel mondo, Giovanni XXIII apriva nuovi orizzonti al lavoro dei vescovi.
Alla prima sessione del concilio, chiusa l’8 dicembre, parteciparono 2494 padri conciliari, provenienti dai cinque continenti, affiancati da consultori (teologi e sociologi), che orientarono in senso innovatore il lavoro dei padri conciliari, e 93 osservatori delle altre chiese cristiane. Il concilio si articolò in dieci commissioni permanenti, che proponevano alle assemblee plenarie i temi della discussione. Si svolse in quattro sessioni. Fu proseguito, dopo la morte di Giovanni XXIII, avvenuta il 3 giugno 1963, da Paolo VI e si concluse l’8 dicembre 1965, dopo aver approvato quattro costituzioni, nove decreti e tre dichiarazioni. In complesso svolse un’azione di profondo rinnovamento della presenza della Chiesa nel mondo contemporaneo, chiudendo una lunga fase storica, successiva al concilio di Trento (XVI sec.), e impostando un nuovo itinerario ecclesiale: dal ripensamento dei basilari riferimenti alla rivelazione e alla liturgia, i testi del Vaticano II derivano infatti una revisiione della coscienza di sé della Chiesa (pensata come “popolo di Dio” piuttosto che come istituzione eminentemente gerarchico-giuridica) e dei rapporti della Chiesa con la società (progettati secondo il metodo del “dialogo”, fuori da ogni opposizione di principio).

 

IL QUARTO STATO

Attorno al 1900 Giuseppe Pellizza, meglio conosciuto come Pellizza da Volpedo (Volpedo, Alessandria, 1868-1907), terminò il suo celebre quadro Quarto stato, frutto di un lavoro decennale.

Il dipinto, che ha le dimensioni di un ampio affresco, si rifaceva alle tematiche artistiche europee a sfondo sociale, mantenendo nel contempo un forte legame con le idee espresse dal movimento della scapigliatura lombarda, che risaliva a metà Ottocento. Superando il provincialismo tipico delle varie scuole regionali italiane di quel periodo, Pellizza affermava “che ora non è più l’epoca di fare dell’arte per l’arte, ma dell’arte per l’umanità”. Il Quarto stato segnava infatti il passaggio da un’arte ancorata a una rappresentazione retorica di carattere romantico (era il caso, per esempio, delle Vittime del lavoro, il bassorilievo in bronzo realizzato da Vincenzo Vela nel 1883) a un’arte che, bandita la visione vittimistica del “quarto stato”, ne celebrava la determinazione e la forza. Protagonista del quadro è la folla degli umili, proletari o sottoproletari, che popolava l’Italia del tempo, e l’andatura calma e l’atteggiamento pacato di questa folla non sono segni di sottomissione o di rassegnazione, ma di fermezza.

 

GIUSEPPE GARIBALDI

Il 27 settembre 1880 con una lettera indignata al giornale romano “La Capitale”, Giuseppe Garibaldi (nato a Nizza il 4 luglio 1807) rassegnò le dimissioni da deputato e si ritirò definitivamente a Caprera. Per molti anni, sin da quando nelle imprese compiute in Sudamerica si era conquistato l’aureola di “eroe dei due mondi”, il condottiero nizzardo aveva acceso gli entusiasmi popolari alimentando la leggenda del generale invincibile, pronto ad accorrere ovunque vi fossero da difendere la libertà e l’indipendenza dei popoli. Di fede repubblicana, ma avvicinatosi a Vittorio Emanuele II intorno al 1856, Garibaldi aveva giocato un ruolo decisivo nel biennio che aveva portato all’unità d’Italia sotto la guida della monarchia dei Savoia. Nel 1859 aveva guidato i Cacciatori delle Alpi in una vittoriosa campagna contro gli austriaci fermata soltanto dall’armistizio di Villafranca, e nel 1860 aveva guidato mille volontari nella leggendaria spedizione in Sicilia. Dopo l’unità Garibaldi, ormai entrato nella mitologia popolare europea, si era ripetutamente scontrato con il governo italiano. Nel 1862 era stato ferito e arrestato dalle truppe regie in Aspromonte, mentre preparava una spedizione su Roma; nel 1866 era stato fermato da un ordine del re, mentre guidava i suoi volontari alla liberazione del Trentino; nel 1867 era stato fermato dall’esercito francese a Mentana, mentre marciava nuovamente su Roma contro la volontà del governo italiano. Negli ultimi anni della sua vita Garibaldi aveva accentuato il suo repubblicanesimo e il suo anticlericalismo e si era progressivamente avvicinato alle idee socialiste, diventando il leader della sinistra radicale. Ripetutamente eletto deputato, aveva tuttavia partecipato raramente alla vita parlamentare, insofferente dei compromessi della politica, indignato dalla corruzione del mondo parlamentare, deluso dalla litigiosità e dalla debolezza dei governi della sinistra, fino alle clamorose dimissioni del 1880. La sua scomparsa, il 2 giugno 1882, l’anno del “trasformismo”, della Triplice Alleanza e della prima impresa africana, segnava simbolicamente la fine di un’epoca, quella eroica del risorgimento.

I FENOMENI ENDOGENI

Sulla superficie terrestre le zone più ricche di vulcani coincidono con quelle ove i sismi si manifestano con maggiore frequenza. I movimenti tettonici più intensi provocano all’interno del globo scosse violente che arrivano fino in superficie. Queste possono determinare l’apertura di profonde spaccature litosferiche attraverso le quali fuoriesce il magma.
Osservando il planisfero si può notare come eruzioni e terremoti si concentrino lungo quattro lineamenti principali. Il più esteso, chiamato Cintura di Fuoco del Pacifico, corre tutt’attorno a questo oceano. Percorre l’arco delle isole Aleutine, il bordo occidentale delle Americhe, passa per l’Antartide per risalire lungo la Nuova Zelanda, gli archi insulari del Mar della Sonda, delle Marianne, delle Filippine, del Giappone e il bordo orientale dell’Asia.
I secondi lineamenti sismo-vulcanici sono le dorsali medio-oceaniche.
Qui la maggior parte delle manifestazioni interessano il fondo marino, ma in taluni casi la sommità degli edifici vulcanici affiora a formare isole costituite da lave solidificate. Sono in questa origine Ascensione, Sant’Elena, Tristan da Cunha lungo la dorsale medio-atlantica, e la stessa Islanda, ricchissima di fenomeni eruttivi.
La terza area di intensa attività è costituita dalle catene estese in senso trasversale dal bacino mediterraneo fino all’Iran attraverso la penisola anatolica. L’ultima grande fascia si estende in direzione nord-sud nell’Africa orientale, ove, al fondo delle fosse tettoniche, i rift, si sono impostati grandi laghi che ne seguono la conformazione.
Vulcani e terremoti dunque coincidono con i margini attivi delle zone crostali. Nelle zone di frattura l’effusione della lava in superficie è relativamente tranquilla, ed è accompagnata da manifestazioni sismiche in genere modeste. L’attività è invece molto più violenta nelle zone di subduzione. Ove la crosta oceanica si immerge sotto la zolla adiacente si creano altissime pressioni che scatenano terremoti particolarmente distruttivi. In questo caso l’ipocentro dei sismi si può raggiungere i 700 km di profondità, le scosse si proiettano in superficie su aree vastissime. L’Italia è un tipico esempio dell’assommarsi delle due attività. Le zone di rischio cosmico coprono gran parte del territorio, in particolare là dove esistono vulcani attivi o quiescenti.
La storia del nostro Paese è disseminata di grandi catastrofi, dall’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. che distrusse Pompei ed Ercolano, fino ai terremoti di questo secolo: da Messina nel 1908, al Belice nel 1968, al Friuli nel 1976, all’Irpinia nel 1980 e all’Umbria nel 2009. Non è un caso che una delle scale di valutazione dei sismi più diffuse sia stata ideata dall’italiano Mercalli. Essa si basa sulla misurazione degli effetti distruttivi del terremoto. Oggi però è d’impiego più frequente la scala Richter, che misura la quantità di energia liberata dal sisma, o magnitudo.
I Paesi più progrediti, e più esposti a questi fenomeni (come l’Italia, il Giappone, gli Stati Uniti) hanno allestito servizi di previsione vulcanica e sismica.
I servizi di previsione sismica, ad esempio, si basano su reti di sismografi sensibilissimi, in grado di registrare scosse ben al di sotto del livello di sensibilità umana. Se tali scosse si ripetono con frequenza eccessiva e crescente, è possibile prevedere con buona approssimazione il collasso successivo.
Nelle zone a maggior rischio viene applicata una politica di prevenzione sismica: fra le varie norme applicate, la più importante è quella che impone la costruzione dei nuovi edifici con criteri antisismici.

 

ANACREONTE

Poeta greco, nato a Teo, sulla costa ionica dell’Asia Minore, intorno al 570 a.C. Quando Teo fu conquistata dai persiani, Anacreonte fu costretto ad emigrare ad Abdera, sulla costa trace. Agli anni di quel soggiorno difficile per le frequenti azioni di guerra contro i traci, appartengono alcuni frammenti poetici, nei quali l’esplicito riferimento alla Tracia è suggerito da motivi allusivi e polemici. Ma non meno vivo doveva essere il ricordo della sua patria, spesso rievocata nel canto.
L’ascesa di Policrate al potere nell’isola di Samo (537 o 535 a.C.) determinò una svolta decisiva nel suo iter poetico. Invitato alla corte del tiranno, Anacreonte vi rimase sino al 522, quando l’astuzia del satrapo persiano Orete pose fine a un periodo fortunato e felice della storia di Samo.
La tradizione colloca qui l’acme del poeta, non a torto, se consideriamo gli impulsi che le vicende politiche dell’isola e le iniziative culturali promosse dal tiranno dovettero imprimere alla sua arte e l’influenza che egli esercitò sulle forme della cultura samia. Una conferma della posizione di rilievo e della familiarità di cui Anacreonte godette presso il tiranno, sino al punto da intervenire direttamente negli affari politici del governo, è offerta dalla testimonianza di Erodoto sulla sua presenza durante un colloquio di Policrate con l’inviato di Orete. La morte di Policrate portò il poeta ad Atene alla corte di Ipparco. Illustrativo della sua attività ateniese è l’entusiastico elogio che, alcuni decenni dopo, Crizia il giovane, nipote del Crizia amico di Anacreonte e dedicatario di alcuni dei suoi carmi, scrisse quando, dopo le guerre persiane, soltanto un lontano ricordo sopravviveva di quella raffinata spiritualità che aveva animato i simposi dell’Atene di Ipparco. Con la morte di Ipparco (514 a.C.) perdiamo le sue tracce; forse Anacreonte si recò in Tessaglia presso gli Alevadi, come lasciano supporre due epigrammi attribuitigli nell’Antologia Palatina. Visse sino all’età di 85 anni; quasi certamente morì a Teo, dove era la sua tomba e dove una statua ne celebrava la memoria. Non minori il favore e la popolarità nell’Atene del sec. V, come documentano la statuaria e la ceramica attica raffigurante il poeta e i suoi amici in festose scene di banchetti.

La poesia
Ampio e vario il panorama tematico delle sue Odi, ma privilegiato il tema dell’amore: un amore raffinato, che trasforma la polarità del contrasto in una dimensione emotiva sapiente e sfumata; un amore immaginoso, bizzarro, come mostrano le simboliche raffigurazioni di Eros (pugile, fabbro, alato), riflettenti gli esiti di reali esperienze nei simposi e nei banchetti. Quale sia il senso del simposio anacreontico s’intende da alcuni versi programmatici: non gozzoviglia, non ebbrezza sfrenata, ma radunanza lieta di amici capaci di esprimere le gioie più intense senza oltrepassare i limiti di una civile urbanità. Un atteggiamento conviviale aperto a una più viva socialità nella quale, come nell’amore efebico e nell’arte, l’idealità aristocratica si contempera con le esigenze della nuova società borghese del tempo di Pisistrato e dei suoi eredi. Per intendere nella giusta prospettiva culturale quest’arte del tardo arcaismo è necessario considerare l’influenza che esercitò su essa un elemento nuovo, l’elemento dionisiaco, entrato nel mondo religioso e artistico del poeta accanto ad Eros e Afrodite. Questa sana mescolanza di gioia dionisiaca e di limpida saggezza è esplicita nei polemici versi di un’elegia: “non mi è caro chi bevendo da un cratere colmo narra le risse e le guerre lagrimevoli, ma solo chi associando i bei doni di Afrodite e delle Muse canta l’amabile gioia”. Figure femminili e tipi umani di diversa indole sono caratterizzati sullo sfondo del loro ambiente. A volte una beffarda icasticità emerge nel linguaggio e nelle metafore che ora si adeguano al tipo umano, ora rilevano per contrasto, attraverso epiteti ed espressioni dell’epica, la comicità delle situazioni e delle persone. La poesia di Anacreonte offre sotto il profilo delle strutture linguistiche gli aspetti propri di un fenomeno culturale altamente ritualizzato tipico di una cultura orale, ma ha una sua cifra specifica nella paratattica struttura trimembre del periodo, nella simmetrica disposizione degli aggettivi, nelle ricorrenti apostrofi e nelle frequenti anafore uditive e visive, nella frequenza di verbi espressivi e di parole del linguaggio conversativo e, infine, nella multiforme simbologia amorosa che tende a creare l’atmosfera momentanea di una situazione piuttosto che ad esprimere l’intensità di uno stato emotivo. Se escludiamo i papiri di Ossirinco che ci hanno restituito 14 frammenti, l’opera di Anacreonte ci è stata conservata in stato frammentario dalla tradizione medievale attraverso citazioni di scrittori e di grammatici della tarda grecità. La prime edizioni antiche furono quelle alessandrine di Aristofane di Bisanzio e di Aristarco.

 

ANTONIO SEGNI

Nato a Sassari nel 1891, Antonio Segni si laureò in giurisprudenza nel 1913 e insegnò diritto nell’università della sua città, di cui fu anche rettore, e successivamente in quella di Roma. Esponente del Partito popolare, dopo l’avvento del fascismo si ritirò dalla vita politica, dedicandosi all’insegnamento e all’amministrazione delle sue vaste proprietà agricole. Deputato alla Costituente, Segni fu, con De Gasperi, ministro dell’agricoltura e autore della riforma agraria. Nel luglio 1955 costituì il suo I governo, che firmò i trattati di Roma del marzo 1957. Nel febbraio 1959 formò il II governo, le cui dimissioni nel febbraio 1960 aprirono la strada al governo Tambroni. Nel maggio 1962 ricopriva la carica di ministro degli esteri ed era il capo riconosciuto dei dorotei. Rispetto agli anni 1955-1957, quando il suo governo aveva tentato un’apertura a sinistra, ora Segni era il più autorevole rappresentante di quella parte della DC che ostacolava la collaborazione con i socialisti. Per vincere la resistenza di questi settori e per offrire loro una garanzia di continuità, il segretario della DC Aldo Moro volle Segni presidente della repubblica, sfiorando la rottura con PSI, PSDI e PRI, che insieme con il PCI sostennero la candidatura di Giuseppe Saragat. La presidenza di Segni si interruppe bruscamente nell’estate 1964, quando dopo la crisi del primo governo organico di centrosinistra si svilupparono torbide manovre, che videro il coinvolgimento dei servizi segreti e del comandante generale dei carabinieri, il generale Giovanni De Lorenzo, e rispetto ai quali non è mai stato chiarito definitivamente quale sia stato il ruolo del Quirinale. Durante un drammatico colloquio con Aldo Moro e Giuseppe Saragat, il 7 agosto 1964 Segni venne colpito da una trombosi che lo rese inabile a esercitare le sue funzioni, conducendolo  di lì a poco le dimissioni. Morì a Roma nel 1972.

 

UMBERTO I

Figlio di Vittorio Emanuele II, Umberto I (Torino 1844 – Monza 1900) entrò a quattordici anni nell’Esercito piemontese e percorse rapidamente le tappe della carriera militare, segnalandosi in particolare nella battaglia di Custoza (VR) del 24 giugno 1866, durante la terza guerra d’indipendenza italiana. Umberto salì al trono nel gennaio 1878 e con la moglie Margherita, sua cugina e figlia di Ferdinando di Savoia, duca di Genova, tentò di condurre una politica di prestigio, caratterizzata tra l’altro da un intensificarsi della vita mondana a corte, allo scopo di far uscire la monarchia dall’isolamento a cui l’aveva condannata Vittorio Emanuele II. Il forte legame mantenuto dal sovrano con l’Esercito indirizzò le sue scelte di politica estera contrassegnate dalla volontà di avvicinamento a potenze con una forte tradizione militare, quali erano l’impero asburgico e la Germania, e dal pieno sostegno alle prime iniziative colonialistiche italiane. In politica interna, le inclinazioni di Umberto I si espressero in un accentuato conservatorismo. In effetti l’immagine di sovrano “popolare”, mediatore tra le classi sociali, che il sovrano volle dare di sé, ebbe breve durata, sebbene egli conducesse una grande attività assistenziale e fosse sempre presente nelle zone colpite da calamità naturali: da Casamicciola (NA) distrutta dal terremoto nel 1883, alla Napoli in preda al colera del 1884-1885. Il suo aspetto più autoritario si esplicitò durante i moti del 1898. Il dono della gran croce dell’Ordine di Savoia al generale Lorenzo Bava Beccaris, che quell’anno aveva compiuto un eccidio a Milano sparando sulla folla in protesta, fu il punto culminante di una politica, oggi concordemente giudicata antidemocratica e antipopolare, che fece di Umberto I uno dei principali responsabili della svolta autoritaria di fine secolo. Sfuggito all’attentato di un anarchico a Napoli il 17 novembre 1878, Umberto I fu ucciso il 29 luglio 1900 da Gaetano Bresci, l’anarchico venuto dall’America.

 

IL RASSISMO

Uno dei fenomeni interni al fascismo con cui Mussolini si trovò a fare i conti nel periodo di stabilizzazione del suo potere fu quello del rassismo. Venivano chiamati ras (con il nome dei signori feudali d’Etiopia e d’Eritrea) quei capi del fascismo provinciale che erano stati protagonisti dell’organizzazione delle squadre e, anche attraverso il comando di queste formazioni e la violenza che aveva accompagnato le loro spedizioni, avevano acquisito una notevole autorità a livello locale. I ras più famosi furono Italo Balbo nel Ferrarese, Gino Baroncini a Bologna, Roberto Farinacci a Cremona (dove poteva contare anche sul quotidiano “Cremona nuova”), Bernardo Barbiellini a Piacenza, Antonio Arrivabene a Mantova, Raimondo Sala nell’Alessandrino, Cesare Forni nella Lomellina, Renato Ricci a Carrara, Carlo Scorza a Lucca. Questi uomini, con le loro formazioni, continuarono a spadroneggiare nelle loro zone lungo tutto l’arco del 1923-1924, nonostante l’istituzione della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale, che avrebbe dovuto raccogliere al suo interno i militanti delle formazioni squadristiche ormai sciolte. Queste espressioni del fascismo più intransigente sarebbero state evocate di quando in quando da Mussolini per agitare la minaccia di un nuovo ricorso alla forza. Ma, al tempo stesso, era un’esigenza del regime allontanare da sé quelle accuse di illegalità e di disordine che ne compremettevano l’immagine di fronte ai più importanti sostenitori istituzionali. Per questo Mussolini dapprima appoggiò le voci più moderate presenti all’interno dello schieramento fascista e successivamente fece ricorso all’azione dei prefetti per liquidare definitivamente lo squadrismo. Alcuni ras conservarono comunque delle posizioni di potere, sul piano locale e nazionale, grazie alle reti di relazioni da loro costruite.

 

ALCIDE DE GASPERI

Nato suddito austriaco a Pieve Tesino (TN) nel 1881 e laureatosi a Vienna nel 1905, Alcide De Gasperi fu eletto deputato al Parlamento austriaco nel 1911. Dopo il passaggio del Trentino all’Italia, a conclusione della prima guerra mondiale. De Gasperi fu tra i protagonisti del Partito popolare, che lo elesse deputato nel 1921 e nel 1924, e ne divenne segretario dopo le forzate dimissioni di Luigi Sturzo, nel luglio 1923. Durante il fascismo, dopo un breve arresto, svolse una modesta attività di bibliotecario in Vaticano. Negli ultimi mesi del fascismo fu tra i fondatori della DC, della quale divenne il leader e il rappresentante nel Comitato di liberazione nazionale. Nominato presidente del consiglio nel dicembre 1945, guidò il paese fino alla sconfitta della legge elettorale maggioritaria nel 1953. Fino al maggio 1947 ritenne necessaria la collaborazione con le sinistre, specie in vista della firma del trattato di pace e dell’elaborazione della Costituzione. Poi, estromessi il PCI e il PSI dal governo, De Gasperi costituì governi di centro, affidando a Carlo Sforza la politica estera e a Luigi Einaudi quella economica. Il suo capolavoro fu probabilmente la maggioranza assoluta alla DC nelle elezioni del 1948, dopo le quali continuò la collaborazione governativa con i partiti minori di centro. Si batté per l’adesione dell’Italia alla NATO e fu tra i protagonisti dell’avvio del processo di integrazione europea. Morì a Sella Valsugana (TN) il 19 agosto 1954.

 

L’UNIVERSO E IL SISTEMA SOLARE

La cosmologia studia le leggi che sono all’origine dell’Universo e che ne delineano la possibile evoluzione sia passata che futura. E’ una scienza a sé, che si fonda su ipotesi e modelli teorici, altamente speculativi, solo in parte suffragati da prove data l’inadeguatezza degli strumenti a disposizione.
L’osservazione mediante radiotelescopi delle galassie a noi più lontane suggerisce la teoria di un Universo in cui il movimento di reciproco allontanamento dei corpi celesti avviene ovunque a una velocità elevatissima e costante. Tutte le teorie cosmologiche attuali più accreditate si fondano sul presupposto di un universo in continua e inarrestabile espansione. Percorrendo a ritroso questo cammino si giunge a immaginare che tutti i corpi celesti, galassie, stelle, pianeti, fossero più vicini e, in epoca assai remota, dovessero formare un unico densissimo nucleo.
Il processo di espansione che è in atto fa supporre che l’universo abbia cominciato a dilatarsi da quel nucleo, il punto iniziale, in un momento che dev’essere considerato l’istante primo della creazione. E’ il big bang, la grande esplosione che creò la materia con contemporanea emissione di enormi quantità di energia. Se ciò è veramente avvenuto, allora nello spazio cosmico deve esistere traccia dell’energia primigenia. E’ quanto hanno scoperto nel 1965 i due radioastronomi A.A. Penzias e R.W.W. Wilson. Essi hanno dimostrato che, volgendo i radiotelescopi in ogni direzione, viene sempre percepita una radiazione di fondo (la cosiddetta “microonda cosmica”) che è debole, ma altresì è dotata di quella intensità e di quella lunghezza d’onda che dovrebbe avere se si fosse formata da un’unica origine. Secondo gli studiosi, questo atomo primordiale risale a circa 15 miliardi di anni fa, l’età che è più probabilmente attribuita all’universo. Dal primo momento si è passati in “ere” successive, di durata via via crescente, caratterizzate ciascuna da diverse condizioni di organizzazione della materia e dell’energia. Attualmente ci troveremmo nell’”era galattica”, iniziata un milione di anni dopo il big bang. In questo periodo sarebbero nate le galassie a seguito di meccanismi non ancora del tutto noti.

Il sistema solare si trova all’interno della galassia chiamata anche “Via Lattea”; questa è uno dei milioni di galassie esistenti nell’universo e presenta un diametro massimo di circa 100.000 anni luce. E’ composta da miliardi di stelle, nebulose gassose, ammassi di polveri cosmiche. Se la Terra ha più di 4,5 miliardi di anni, certamente anche il Sole ha la stessa età, e probabilmente è anche più vecchio. Il Sole e i suoi pianeti si trovano sul piano della galassia a circa 30.000 anni luce dal suo centro. Fu probabilmente proprio da una nebulosa calda, ruotante lentamente su se stessa, che si addensò una massa centrale di materia. Queseta aggregazione raggiunse densità e temperatura tali da innescare le reazioni termonucleari che la trasformarono nella nostra stella. Da questa, secondo una scuola di pensiero, si staccarono volumi di gas incandescenti, i protopianeti, che successivamente, contraendosi, avrebbero formato i pianeti. Secondo un’altra teoria, dalla nebulosa stellare si sarebbero staccate masse di polvere, i planetesimi, che, comprimendosi, avrebbero dato origine a corpi solidi e relativamente piccoli; questi ultimi avrebbero attratto per gravità altra polvere cosmica, sarebbero aumentati di volume per evolvere alla fine nei pianeti veri e propri. I nuovi corpi celesti continuarono a mantenere l’originario moto rotatorio attorno al Sole, controbilanciando con la forza centrifuga l’attrazione centripeta esercitata dalla massa solare.