QUESTA È UNA RACCOLTA DI NOTIZIE E FATTI STORICI, ADATTA PER RICERCHE SCOLASTICHE E PER ARRICCHIRE IL PROPRIO BAGAGLIO CULTURALE.

I LITTORIALI

Tra l’aprile e il maggio del 1940 si tenne l’ultima edizione dei littoriali, la guerra ormai incombeva e presto giunse a interrompere questo tipo di manifestazioni. La prima edizione dei littoriali della cultura e dell’arte si era svolta a Firenze tra il 22 e il 29 aprile 1934. Promotori dell’iniziativa erano stati Alessandro Pavolini e Giuseppe Bottai, che negli anni successivi assunsero rispettivamente i dicasteri della cultura popolare e dell’educazione nazionale. Lo scopo era quello di indire un certame annuale, nel quale i giovani più brillanti messisi in luce all’interno dei GUF (Gruppi Universitari Fascisti) potessero confrontarsi dibattendo temi di natura politica, culturale e artistica.

I littoriali della cultura vennero ad affiancarsi a quelli dello sport, che si svolsero dal 1932 al 1940, proponendosi come una sorta di olimpiadi del fascismo, e a quelli del lavoro, istituiti nel 1936, nei quali giovani operai, artigiani e contadini presentavano i loro “capi d’opera”. I littoriali della cultura rappresentarono un’importante occasione di dibattito e di riflessione per le generazioni interamente formatesi sotto il fascismo.

Tra i partecipanti alle varie edizioni dei littoriali si incontrano i nomi di Pietro Ingrao, Achille Corona, Riccardo Morbelli, Luigi Firpo, Luciano Anceschi, Giuliano Vassalli, Paolo Emilio Taviani, Luigi Preti, Alberto Lattuada, Michelangelo Antonioni, Franco Calamandrei, Renato Guttuso, Aldo Moro, Antonello Trombadori, Bruno Zevi, Giaime Pintor: intellettuali e uomini politici che più tardi rappresentarono, collocandosi all’interno di schieramenti diversissimi, alcune delle migliori energie dell’Italia postfascista.

I FASCI SICILIANI

Con il termine “fasci” si indicarono le organizzazioni proletarie sorte negli anni 1892-1893 in alcune località della Sicilia, dove la crisi economica aveva determinato una fortissima tensione sociale, e diffusesi rapidamente fino a costituire un grande movimento di massa. Ne facevano parte contadini, braccianti, mezzadri e, a seconda delle località, minatori, artigiani, piccoli commercianti e piccoli proprietari: un’ampia compagine sociale, dunque, a cui parteciparono anche molte donne e bambini. Capeggiato da uomini di orientamento socialista, come Nicola Barbato, Rosario Garibaldi Bosco e il deputato Giuseppe De Felice-Giuffrida, quello dei Fasci fu soprattutto uno spontaneo movimento popolare di protesta, che affiancava la battaglia contro l’eccessivo fiscalismo e la rivolta contro la tirannia dei “galantuomini”, nelle amministrazioni locali, alla richiesta di revisione dei patti agrari e alla rivendicazione di terre da coltivare. Affermatisi anche grazie all’atteggiamento liberale di Giolitti, che si limitò a garantire l’ordine senza impedire l’organizzarsi delle opposizioni, i Fasci siciliani furono duramente repressi (un centinaio furono le vittime) da Crispi, il quale tornato al potere nel dicembre 1893, presentò il movimento come una vasta cospirazione tesa a sovvertire lo Stato e nel 1894 fece eseguire circa duemila arresti e condannare a dure pene detentive i dirigenti.

1850 - L’INTRODUZIONE DEI FRANCOBOLLI

Il 1° giugno 1850 il Lombardo-Veneto primo tra gli Stati italiani, introdusse nel proprio sistema postale l’uso del francobollo. Già dal 1818 il Regno di Sardegna aveva iniziato a emettere carta bollata postale, sorta di antesignano del francobollo. Speciali fogli in filigrana venivano usati per inviare lettere o piccoli colli, ma la tassa pagata allo Stato era ancora calcolata in base alla distanza.

L’introduzione del francobollo (inventato in Inghilterra da Rowland Hill, esperto di amministrazione, nel 1839 e reso obbligatorio dal 6 maggio 1840) comportò una riforma dell’intera organizzazione postale. La tassa da pagarsi allo Stato, sensibilmente ribassata, fu attribuita al mittente e resa unica per tutto il territorio nazionale.

L’utilizzo del francobollo determinò quindi un sostanziale alleggerimento del lavoro degli uffici postali, una notevole diminuzione dei costi di spedizione e la fine delle esenzioni indiscriminate. L’innovazione di Hill fu ben presto introdotta in tutta Europa. In Italia alla fine del 1852 tutti gli Stati avevano riorganizzato il proprio sistema postale.

IL CLUB ALPINO ITALIANO

Verso la metà dell’Ottocento l’alpinismo divenne una passione sportiva diffusa negli ambienti cittadini. Sin dagli anni Quaranta intellettuali e aristocratici inglesi avevano avviato una sistematica esplorazione delle Alpi e avevano costituito a Londra, nel 1857, un Alpine Club, le cui regolari pubblicazioni intendevano promuovere e diffondere la conoscenza della montagna. L’iniziativa era stata emulata in Austria nel 1862 e in Svizzera nel 1863.

Il 12 agosto 1863 quattro appassionati di alpinismo, il ministro delle finanze Quintino Sella, i fratelli Paolo e Giacinto di Saint Robert e Giovanni Baracco, durante un’ascensione sul Monviso concepirono l’idea di fondare un Club alpino italiano, sul modello di quello londinese. L’iniziativa, che non nascondeva l’intenzione di contrastare il primato degli alpinisti anglosassoni in Italia, coinvolse alcuni esponenti di rilievo del mondo politico e culturale piemontese: l’ingegnere Felice Giordano, i geologi Bartolomeo Gastaldi, Lorenzo Pareto e Martino Baretti, l’avvocato Antonio Grober, lo storico Luigi Vaccarone. Costoro fondarono il 23 ottobre, nel Castello del Valentino a Torino, il Club alpino torinese, che diventò nel 1867 Club alpino italiano (CAI).

Composto in larga maggioranza da politici, scrittori e scienziati (fatto che contribuì a dare rispettabilità a una pratica sportiva che per la sua pericolosità aveva suscitato prevalentemente interventi ironici e denigratori), il club iniziò a pubblicare nel 1865 un “Bollettino trimestrale” (divenuto nel 1882 “Rivista mensile”) contenente relazioni scientifiche, resoconti di ascensioni, notizie su rifugi e sentieri, recensioni e notizie bibliografiche sulla letteratura di montagna. La rivista divenne in tal modo lo strumento del progetto allo stesso tempo associativo e culturale di unire l’organizzazione della pratica sportiva alla riflessione sulla storia dell’alpinismo e sulla cultura della montagna.

1955 - LA FIAT 600

Il 10 marzo la FIAT presentò al Salone dell’automobile di Ginevra una nuova utilitaria, la 600. Aveva quattro posti ed era stata lanciata attraverso un’imponente campagna pubblicitaria. Pur non essendo la prima utilitaria uscita dagli stabilimenti dell’industria torinese, la 600 fu immessa sul mercato a un prezzo contenuto, 590.000 lire, molto meno delle 17 mensilità di salario medio necessarie per acquistare una Topolino. Il prezzo di vendita, che lasciava alla FIAT un margine di utile assai ristretto, favoriva lo spostamento di risorse verso i consumi privati: si preparavano così le condizioni per indirizzare quote di reddito, che si sarebbero rese disponibili negli anni successivi, verso i consumi individuali. La rivoluzione dei consumi, agevolata peraltro dal diffondersi anche in Italia della vendita rateale, si realizzò in primo luogo come motorizzazione di massa. Non solo la FIAT avviò negli anni immediatamente seguenti la produzione della 500, una vettura destinata a incontrare uno straordinario favore tra i consumatori, ma si registrò nel contempo una forte espansione della produzione e della vendita degli scooter: nel 1956 la Piaggio produsse il milionesimo esemplare della Vespa. La decisione di Vittorio Valletta, presidente e amministratore delegato della FIAT, di investire 300 miliardi nella catena di produzione della 600, consentì il passaggio della produzione giornaliera da 624 a 839 vetture.

Ebbe un riflesso anche più ampio nell’economia italiana, dato che favorì il suo orientamento in favore dell’espansione dei beni di consumo durevoli: alla fine del decennio fu il settore degli elettrodomestici a conoscere un vero boom. Insieme con la 600, il 1955 portò la legge del 21 maggio, il piano decennale di costruzioni autostradali, che mutò radicalmente il volto del paesaggio e lo stile di vita degli italiani.

GUGLIELMO MARCONI

Guglielmo Marconi raccolse in sé una serie di caratteristiche eterogenee che fecero di lui via via un inventore e scienziato, un uomo d’affari, un diplomatico e uomo politico influente, un esperto militare, una figura di spicco degli ambienti mondani internazionali d’inizio Novecento. Nato a Bologna il 25 aprile 1874, da una famiglia benestante, fu attratto fin da giovanissimo dagli esperimenti sulle possibili applicazioni dell’elettricità e in particolare sulla possibilità di sfruttare per la telegrafia senza fili le onde elettromagnetiche, studiate dal fisico tedesco Heinrich Hertz. I primi risultati di queste sperimentazioni li ottenne nel 1894, in un laboratorio improvvisato nell’abitazione della famiglia. Non trovando il governo italiano disponibile a sostenere la prosecuzione in grande delle ricerche, si trasferì a Londra e da qui iniziò una serie di peregrinazioni tra Europa e America. Nel 1897 fondò il primo nucleo della società per lo sfruttamento commerciale della telegrafia senza fili che divenne poi la Marconi Company. Nel 1901 realizzò il primo collegamento intercontinentale tra Poldhu, in Cornovaglia, e San Giovanni di Terranova, sulla sponda americana dell’Atlantico. Nel 1909 gli fu assegnato il premio Nobel per la fisica. Il determinante impulso dato dalle sue ricerche allo sviluppo delle comunicazioni, in tutti i loro possibili ambiti di impiego civile e militare, mise in contatto Marconi con le più importanti autorità internazionali. Egli venne così a svolgere un ruolo determinante nella politica estera italiana. Nominato senatore nel 1912, fu un importante tramite nelle relazioni che intercorsero tra Italia e Gran Bretagna nel periodo compreso tra lo scoppio della prima guerra mondiale e l’ingresso dell’Italia nel conflitto al fianco dell’Intesa. Nel 1919 rappresentò l’Italia al tavolo della conferenza della pace. Nel 1923 si iscrisse al Partito fascista e negli anni del regime ricoprì varie cariche. Fu Presidente del Consiglio nazionale delle ricerche e dell’Accademia d’Italia, collaborò all’impianto delle reti radiofoniche nazionali e della rete della Radio vaticana (inaugurata nel febbraio 1931), seguì i primi passi della televisione e delle sperimentazioni sugli impianti radar.