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ROBESPIERRE

Eletto deputato agli Stati Generali per la provincia di Arras dove è nato nel 1758, Maximilian Robespierre emerge subito per la sua eccezionale capacità oratoria e per l’intransigenza con cui persegue i fini della rivoluzione: non per nulla sarà soprannominato l’incorruttibile, anche grazie al rigore della sua severa vita privata.
Nel 1790 diviene il capo dei Giacobini: richiamandosi al pensiero di Rousseau, egli sostiene l’urgenza della sovranità popolare e dà inizio a una accesa campagna d’opinione a favore degli Ebrei, dei Protestanti e degli schiavi.
Con l’evolvere della situazione (lo scoppio della guerra e i moti controrivoluzionari), Robespierre si convince che i valori e le conquiste della Rivoluzione vanno difesi anche a costo di una dittatura, sia pure a sfondo sociale. Soprattutto alla sua volontà si deve il Terrore che egli giustifica affermando che la rivoluzione esige “terrore e virtù”.
Per imporre la virtù repubblicana, Robespierre introduce il culto dell’Essere Supremo, che si ispira agli ideali illuministici. Ma questa iniziativa contribuisce a farlo apparire come un dittatore. All’interno della Convenzione la sua popolarità diminuisce tanto quanto cresce l’insofferenza nei confronti del Terrore.
Arrestato con i suoi fedelissimi (tra cui il fratello Augustin), viene consegnato alla prigione del Lussemburgo, ma il custode si rifiuta di rinchiuderlo: a questo punto Robespierre e i suoi si rifugiano all’interno del Municipio per organizzare un’insurrezione, ma vengono arrestati e feriti. Il giorno dopo anche la testa di Robespierre cade sotto la lama della ghigliottina.