QUESTA È UNA RACCOLTA DI NOTIZIE E FATTI STORICI, ADATTA PER RICERCHE SCOLASTICHE E PER ARRICCHIRE IL PROPRIO BAGAGLIO CULTURALE.

I FENOMENI METEOROLOGICI

Esistono due modi per definire l’umidità atmosferica.

L’umidità assoluta è la quantità di vapore d’acqua contenuta in un dato volume d’aria; ha un limite massimo, che dipende dalla temperatura; quando esso è raggiunto, l’aria è satura, e non può assumere altro vapore.

L’umidità relativa è data dal rapporto fra l’umidità assoluta di un dato volume d’aria e la quantità massima che potrebbe esservi contenuta alla temperatura esistente. Si esprime in percentuale: l’aria che contiene la metà del vapore acqueo che potrebbe assumere a quella temperatura, ha un’umidità relativa del 50%.

In presenza di alte percentuali di umidità, quando la temperatura dell’aria si abbassa, si formano le nubi, composte da minutissime goccioline d’acqua o da cristalli di ghiaccio del diametro di poche frazioni di millimetro. Poiché le goccioline sono tanto minuscole da essere più leggere dell’aria, vi restano sospese, e possono salire o scendere trasportate dai movimenti atmosferici. Se la temperatura si abbassa ulteriormente, le goccioline si aggregano insieme attorno ai nuclei di condensazione, che sono minuscoli granuli di pulviscolo atmosferico, cristalli di sale derivanti dalle acque marine, ceneri vulcaniche e così via. Le gocce ormai grandi, o l’insieme di più cristalli di ghiaccio, più pesanti dell’aria, cadono dando origine alle precipitazioni: pioggia, neve, grandine.
A livello planetario le precipitazioni sono la conseguenza di grandi e violenti fenomeni meteorologici atmosferici: i cicloni extratropicali, i cicloni tropicali, i monsoni.

I cicloni extratropicali portano perturbazioni prolungate, ma di effetto in genere non disastroso. Si sviluppano nelle zone temperate, e derivano dall’incontro di aria umida e calda proveniente dalle basse latitudini con aria fredda e secca di origine polare. Le due masse, quando vengono a contatto, non si mescolano insieme, ma si fronteggiano. Lungo la superficie di separazione, detta fronte, si produce uno scambio termico. L’umidità si condensa e cade la pioggia. Nel nostro emisfero i cicloni extratropicali si muovono da Ovest verso Est, trascinati dai venti occidentali. Per sapere il tempo che farà in Europa, dunque, occorre osservare le condizioni meteorologiche esistenti sulla Groenlandia e sull’Atlantico nord-occidentale, da dove per l’appunto arrivano i venti occidentali.

I cicloni tropicali portano perturbazioni improvvise e violentissime, che generano distruzioni. Nascono da un’area di bassa pressione che si forma sui mari tropicali. La massa d’aria calda e umida sale rapidamente. Il potenziale vuoto che si forma a livello marino viene riempito da un vento fortissimo che entra dal basso, e assume un movimento vorticoso, in conseguenza della forza di Coriolis, che raggiunge e supera sovente i 200 km/ora.
Questi cicloni si spostano nella direzione dei venti dominanti nell’area intertropicale (gli alisei), distruggendo ogni cosa.

I monsoni si manifestano ove sono a contatto una grande massa di terre emerse e di acqua. E’ la situazione dell’Asia meridionale, bagnata a Sud dall’Oceano Indiano. D’estate sul continente, che si riscalda più rapidamente dell’oceano, si forma un’area di bassa pressione, che richiama aria umida marina. Questa si condensa e cade sotto forma di piogge torrenziali: il monsone estivo porta precipitazioni.
D’inverno sul continente si forma una vasta area di alta pressione. L’aria fredda si dirige verso l’oceano ove si è stabilita una zona di bassa pressione: il monsone invernale porta sul continente aridità.

LA I GUERRA D’INDIPENDENZA

Il timore della rivoluzione e la chiara intenzione di Carlo Alberto di ridurre la guerra nazionale a una conquista dinastica pesarono fortemente sulla condotta militare della guerra. Già il ritardo nell’intervento impedì all’esercito piemontese di sorprendere gli austriaci in fase di ripiegamento e lasciò a Radetzky il tempo di ritirarsi nelle fortezze del quadrilatero (Verona, Mantova, Peschiera e Legnago) e attendere i rinforzi. Carlo Alberto, non intendendo sguarnire i presìdi interni, per timore di insurrezioni repubblicane, non raccolse tutte le forze disponibili e manifestò un’evidente ostilità nei confronti dei volontari che sopraggiungevano da tutta Italia.
L’impreparazione degli alti comandi, l’inettitudine del sovrano come comandante supremo, la reciproca diffidenza fra piemontesi, lombardi e i corpi di spedizione degli altri Stati dell’Italia fecero della guerra piemontese un disastro strategico. Non furono tagliate le vie di comunicazione con l’Austria, non venne nemmeno tentata la conquista del Trentino, né il ricongiungimento con le truppe papali o i volontari veneziani. I primi successi piemontesi contro le retroguardie austriache a Pastrengo e a Goito si arrestarono dinanzi al quadrilatero. Mentre il grosso dell’esercito sardo si impegnava nell’assedio e nella presa di Peschiera, l’unica vittoria significativa durante il corso della guerra, gli austriaci riconquistavano Vicenza e il controllo del Veneto e all’inizio di luglio, con una netta superiorità di uomini, mezzi e direzione strategica, passavano alla controffensiva, schiacciando a Custoza l’esercito piemontese. La ripresa della guerra, dal 19 al 23 marzo del 1849, si rivelò per il Piemonte ancora più disastrosa: l’esercito, attaccato in più punti dagli austriaci nei dintorni di Novara, fu sconfitto in tre giorni senza quasi opporre resistenza. La colpa fu fatta ricadere tutta sul generale Ramorino, che il 19 marzo aveva lasciato la sua postazione dando origine alla fuga disordinata di alcuni reparti, ma le responsabilità erano molto più vaste e toccavano la stessa struttura del comando e dell’esercito sabaudo.

L’ATMOSFERA

L’atmosfera primordiale era molto diversa da quella attuale: vi prevalevano gas come il metano, l’ammoniaca, l’idrogeno. Quest’ultimo elemento, molto leggero, sfuggì gradualmente alla forza di gravità e si dissipò nello spazio interplanetario. Contemporaneamente le frequenti manifestazioni vulcaniche eruttarono ingenti volumi di vapore d’acqua e di anidride carbonica. L’ossidazione dell’atmosfera cominciò circa due miliardi di anni fa, quando comparvero le prime alghe capaci di compiere la fotosintesi clorofilliana, e quindi di produrre ossigeno. L’aria che oggi circonda la Terra appare divisa in regioni concentriche; quella più vicina al suolo, la troposfera concentra la quasi totalità della massa atmosferica e del vapore acqueo e la maggior parte dei gas; è mantenuta calda dall’effetto serra, ma salendo, coll’aumentare della quota, la temperatura si abbassa raggiungendo il minimo verso i 15 km di altezza nella tropopausa. Più sopra vi è la stratosfera che è più calda; infatti la temperatura tende a risalire fino alla stratopausa, poiché viene assorbita l’energia solare e sono filtrati i raggi ultravioletti attraverso lo strato di ozono. Più oltre si trova la mesosfera che è delimitata da un’area di inversione termica, la mesopausa, zona di bassissime temperature. Al di sopra, nella termosfera, i gas si rarefanno e le temperature tornano a risalire sino a punte assai elevate. Anche la pressione subisce una costante diminuzione al variare dell’altitudine.
L’atmosfera è un sistema dinamico di enorme complessità, sede di intensi e continui movimenti provocati dall’ineguale distribuzione dell’energia solare. Le radiazioni calorifiche provenienti dal Sole, si propagano con moto rettilineo e incontrano la superficie terrestre che angoli di incidenza che cambiano con la latitudine. Fra i tropici l’incidenza è vicina a 90°, ai poli l’angolo è molto più acuto. Alle basse latitudini ogni raggio concentra la sua energia su piccole aree, invece alle alte latitudini il calore si disperde su superfici maggiori. Ne consegue che nel primo caso la temperatura dovrebbe progressivamente aumentare, mentre nel secondo caso essa dovrebbe diminuire anno dopo anno. Ciò non si manifesta perché opera un meccanismo di redistribuzione termica: il calore è trasportato dai movimenti dell’aria, i venti dalle aree intertropicali alle zone polari. I venti si muovono in conseguenza delle differenze di pressione atmosferica. Le masse d’aria calda e umida, più leggere, tendono a salire verso le parti alte della troposfera (moto convettivo ascendente); quelle d’aria fredda e secca, più pesanti, tendono a scendere (moto convettivo discendente). Le prime, dette cicloni, sono aree a bassa pressione, le seconde, dette anticicloni, sono aree ad alta pressione. Sulla superficie terrestre, nelle aree cicloniche, il moto ascendente, tende a formare una specie di vuoto d’aria; in quelle anticicloniche invece, per il meccanismo opposto, un eccesso d’aria.
Il modello elementare di circolazione atmosferica è dato dalla cella di Hadley, dal nome del suo scopritore. Essa consiste in due moti verticali di segno opposto, ai quali sono concatenati due moti orizzontali, l’uno a contatto della superficie terrestre, l’altro nei settori alti della troposfera.
Nell’atmosfera esistono sei fasce di circolazione, tre per ogni emisfero, collegate fra loro e distribuite secondo la latitudine. Nelle zone cicloniche, di bassa pressione, l’aria sale, si raffredda e perde umidità provocando le precipitazioni. Al limite superiore della troposfera il moto diviene orizzontale sino alle zone anticicloniche, di alta pressione, ove l’aria scende, si scalda e diverge in moti che, al suolo, originano i venti come gli alisei e i venti occidentali.

CARLO PISACANE E LA SPEDIZIONE DI SAPRI

Nato a Napoli nel 1818, ufficiale dell’Esercito napoletano, volontario in Lombardia nel 1848, capo di stato maggiore della Repubblica Romana nel 1849, Carlo Pisacane proveniva dalle file del mazzinianesimo, ma sotto l’influenza di Carlo Cattaneo, di Giuseppe Ferrari e dei socialisti francesi si orientò a poco a poco verso un’ideale di democrazia radicale. Come Mazzini, Pisacane era favorevole alla soluzione unitaria e repubblicana, ma era convinto che prima di agire fosse necessario migliorare le condizioni materiali di vita delle masse popolari e che solo la chiara promessa di modificazioni della società in senso socialista potesse portare alla partecipazione attiva e consapevole del popolo ai moti rivoluzionari. Il predominio della casa Savoia e la continuazione della dominazione austriaca erano per Pisacane “precisamente la stessa cosa”. Non stava nei “rimedi temperati” dei moderati piemontesi, ma nel movimento contadino la forza della necessaria rivoluzione di cui il Mezzogiorno doveva essere il punto di partenza. La notizia del moto guidato da Francesco Bentivegna accese le speranze dei patrioti del Partito d’azione residenti a Genova. Non solo Mazzini, ma anche La Farina e Pallavicino diedero l’assenso all’impresa; Cavour e il governo piemontese ne tollerarono i preparativi. Si raccolsero armi e denari, parve per un momento che lo stesso Garibaldi dovesse assumere il comando dell’impresa poi preso da Pisacane. Sbarcando a Sapri, Pisacane contava su una rivolta generale, ma la mancanza di collegamenti con i democratici del Mezzogiorno impedì qualsiasi sviluppo rivoluzionario. I trecento compagni di avventura rimasero isolati e furono facilmente sopraffatti dai soldati borbonici e dalla popolazione impaurita, presso la quale era stata diffusa ad arte la voce che bande di evasi saccheggiavano le campagne. La spedizione di Sapri e la morte di Carlo Pisacane segnarono la fine delle speranze mazziniane e delle dottrine cospirative.