QUESTA È UNA RACCOLTA DI NOTIZIE E FATTI STORICI, ADATTA PER RICERCHE SCOLASTICHE E PER ARRICCHIRE IL PROPRIO BAGAGLIO CULTURALE.

DANTE ALIGHIERI: LA DIVINA COMMEDIA

Il poema, composto da Dante tra il 1307 e il 1321, consta di 14.233 versi ed è suddiviso in 100 canti, raggruppati in 3 cantiche: 34 canti l'Inferno, 34 il Purgatorio e il Paradiso.
Attraverso i tre regni Dante, protagonista dell'opera, accompagnato dal grande poeta latino Virgilio nei primi due regni, e da Beatrice e san Bernardo nel terzo, compie il viaggio che lo porterà dalla conoscenza del male al Bene sommo, che è la visione di Dio.
Il viaggio dura circa una settimana e incomincia nella notte del Venerdì Santo, l'8 aprile 1300.

Dante Alighieri (1265-1321), fiorentino di famiglia nobile, ma non ricca, si dedicò a studi approfonditi. Si sposò con Gemma di Manetto Donati ed ebbe tre o quattro figli, ma amò soprattutto Beatrice, la giovane figlia di Folco Portinari, che sarà la sua guida in Paradiso. Occupò cariche pubbliche nella sua città e partecipò alle lotte politiche che dilaniavano la Firenze del Trecento. Proprio per motivi politici nel 1302 fu costretto all'esilio e non perdonò mai ai suoi nemici questa drammatica esperienza, che lo segnò e lo fece meditare sulle sorti dell'uomo. Durante l'esilio fu ospite di varie corti dell'Italia settentrionale e scrisse alcune delle sue opere migliori, tra le quali appunto la Divina Commedia. Nell'opera emerge con forza Dante uomo di pensiero che, giunto a metà della sua esistenza, purifica le miserie terrene avvicinandosi, passo dopo passo, a quelle vette dove l'uomo è più vicino a Dio e si sente scelto da Lui per un viaggio mistico che salvi il mondo dal baratro del male e della corruzione.
Virgilio, il poeta latino vissuto a Roma nel I secolo a.C., autore dell'Eneide, viene scelto come guida da Dante che lo considera il proprio maestro. Nel secondo canto dell'Inferno Virgilio riferisce a Dante di essergli stato inviato, per salvarlo dalla selva oscura del peccato, da una donna bella e beata (Beatrice), apparsagli nel Limbo, dove egli si trova. Qui stanno "..color che son sospesi.." tra la felicità e il dolore, i non battezzati, e coloro che non poterono conoscere la Verità perchè vissuti prima della nascita di Cristo. Costoro hanno un forte e insoddisfatto desiderio di Dio. Virgilio indica a Dante, tra gli altri giusti, i grandi poeti dell'antichità (Omero, Orazio, Ovido, Lucano), gli spiriti maligni (Enea, Ettore, Cesare, Camilla) e i sapienti (Aristotele, Socrate, Platone, Cicerone). Virgilio rappresenta per Dante il simbolo della ragione che rende saggio l'uomo.

Il Paradiso è pura luce; è costituito da nove cieli concentrici; è un susseguirsi di sfere celesti, ognuna contraddistinta da un pianeta, secondo l'antico schema tolemaico che poneva la Terra al centro del sistema solare. L'atmosfera non ha nulla di materiale, i sentimenti umani sono svaniti. Beatrice, Cacciaguida, Romeo di Villanova, sono alcuni tra i beati che accompagnano Dante alla purificazione e alla consapevolezza della pace e della perfezione di Dio.

Il Purgatorio è agli antipodi di Gerusalemme, dall'altra parte della Terra, alle pendici di un'altissima montagna in cima alla quale c'è il Paradiso terrestre. E' costituito da un Antipurgatorio e dal Purgatorio vero e proprio, diviso in 7 cornici, tante quanti sono i peccati capitali (superbia, ira, invidia, accidia, avarizia, gola e lussuria). Nostalgia, tristezza e dolore accompagnano qui il cammino della redenzione di molti personaggi tra i quali Casella, Manfredi, Sordello, Matelda. Manfredi, il principe nipote dell'imperatrice Costanza, morto in battaglia, nemico della Chiesa, in vita era stato scomunicato, ma è salvo perchè in punto di morte, piangendo, si è rivolto a Dio. L'uomo può sbagliare, ma Dio sa perdonare.

L'Inferno è una voragine a forma di cono rovesciato, situata sotto Gerusalemme, che arriva fino al centro della Terra, un abisso che racchiude e simboleggia il male. La fervida fantasia di Dante l'immagina diviso in nove gironi, in ognuno dei quali i dannati scontano un tipo di peccato. La cantica presenta una serie di personaggi drammatici e molto umani, come Francesca, Farinata, Pier delle Vigne, Brunetto Latini, il conte Ugolino, che dialogano con Dante continuamente coinvolto nelle loro passioni. Questi personaggi in vita furono spesso ricchi di virtù. Dante onora le loro doti umane (la fedeltà di Pier delle Vigne, la generosità di Farinata, la cultura di Brunetto Latini, suo maestro di retorica), ma li annovera tra i dannati perchè hanno anteposto la grandezza terrena a tutto.

GIOSUE' CARDUCCI: IL SUO ROMANTICISMO

Sin verso la metà del Novecento si celebrava nel Carducci l'esaltatore del mondo classico pagano, lo scudiero dei classici.
Oggi rileggendolo anche alla luce dell'Epistolario notiamo che è tutta pervasa di spirito romantico.
Classico in Iuvenilia; nei Giambi ed Epodi il Carducci dimenticando quasi i suoi classici sfoga con violenza il suo animo si da apparire romantico per raggiungere un equilibrio tra le due correnti nelle Rime nuove (Pianto antico - Funere mersit acerbo).
Romantico è in lui il concetto della poesia intesa come rappresentazione della vita e dei suoi valori. Romantici sono il gusto del paesaggio, la contemplazione ora realistica, ora patriottica; certi momenti di profonda malinconia e di rapimento che animano le sue liriche, il suo rimpianto e la contemplazione del passato.
E sente il poeta anche un "desio d'ignari amori" nei quali piace immergersi ed esserne dominato come pure il bisogno di esulare dalla realtà di evadere.

GIOSUE' CARDUCCI: I MOTIVI DI ISPIRAZIONE

Motivo di ispirazione è nel Carducci il sentimento della vita intesa come opera costruttiva degli uomini, come celebrazione dei suoi valori terreni, gloria, amore, bellezza, eroismo. Egli appare come poeta della storia degli uomini, intesa in senso carducciano. Infatti il poeta non avverte nella storia la presenza della Provvidenza e non cerca una legge nell'eterno fluttuare delle umane azioni; la storia è immobile, senza svolgimento, urto e contrasto di popoli, concezione vivificata soltanto dalla Nemesi storica (fatale legge di giustizia: ad ogni delitto di un tiranno contro la libertà, deve succedere la punizione, che si può propagare anche sui figli e sui nipoti e li trascina alla rovina): gli esempi sono nelle liriche Miramar (in cui si dice come Max d'Asburgo espiò le colpe dei suoi avi) e Per la morte di Napoleone Eugenio  (in cui si dice come il Re di Roma ed E.Napoleone sebbene innocenti espirarono i due colpi di stato contro la libertà francese perpetrati da Napoleone I e da Napoleone III e Max d'Austria, imperatore del Messico per una breve stagione, pagò le colpe del colonialismo dei suoi antenati).
In presenza della Storia il sentimento carducciano della vita si trasforma in celebrazione. Perciò il poeta canta il Medioevo (il comune rustico); la Rivoluzione francese; il Risorgimento; l'Ellade; la Romanità che è spinta per la nuova Italia, la terza, quella del Risorgimento, dopo la prima, quella romana, e la seconda, quella comunale.

Da questo motivo di ispirazione derivano:
a) l'inno alla vita, all'amore (voluttà e ardore dei sensi, ma dominati dalla ragione) e l'esortazione a liberarsi dalle preoccupazioni oltremondane (Mattinata)
b) il motivo del paesaggio, inteso come terreno spettacolo di bellezza e di forza, e o diventa sfondo mirabile su cui si stagliano le creature della storia umana, o è l'incanto stesso della bellezza come momento eterno dello svolgersi della realtà (Sogno d'estate - Mezzogiorno alpino)
c) la poesia delle memorie (infanzia) degli affetti domestici e della morte (che Carducci accetta con tristezza virile): la nostalgia delle speranze inappagate, il sentimento di ciò che è perito per sempre (Davanti S.Guido - Funere mersitacerbo - Traversando la Maremma toscana - Pianto antico).

Lo stile della poesia è robusto e incisivo, la lettura dei classici dà a molte espressioni un tono quasi barocco.
Solo raramente la lingua è dimessa e immediata, quando egli rivive senza atteggiamenti i suoi ricordi infantili. Più spesso è ricercata e dotta quasi egli fosse preoccupata di dover scendere dalla sua cattedra.

GIOSUE' CARDUCCI: SVOLGIMENTO DELLA POESIA CARDUCCIANA

Il Carducci raccoglie le sue poesie in 6 libri.
Nelle prime raccolte (Juvenilia, in cui si riflette l'esperienza del gruppo "Amici Pedanti" con Gargani, Chiarini, Targioni-Tozzetti, contro la tarda poesia romantica e il ritorno alla tradizione classica e a quella italiana dal Parini al Foscolo) si ha un Carducci a volte troppo seguace dei classici nostri fino al Monti e al Foscolo, a volte indulgente eccessivamente alla polemica che condiziona negativamente la sua vena poetica.

Precede la raccolta Giambi ed Epòdi, l'Inno a Satana un canto pubblicato a parte, in cui Satana è celebrato come il simbolo del libero pensiero, della natura e del progresso, contro ogni forma di ascetismo e di rinunzia.

Le raccolte Rime nuove e Odi barbare  la prima delle quali è preceduta da un Intermezzo che costituisce il passaggio alla produzione successiva e si conclude con un canto di nostalgia alla terra natia e con una invocazione all'Ellade serena. I temi fondamentali della raccolta Rime nuove sono quelli della confessione un pò delusa e tormentosa, della natura e del passaggio evocatore di memorie care (Funere mersit acerbo, Traversando la Maremma toscana, Pianto antico, Il comune rustico). Il tema fondamentale della raccolta Odi barbare è ancora quello della rimembranza nel duplice significato di ricordo personale e di rievocazione storica, anche se quest'ultimo è prevalente. "Le ha intitolate barbare, perchè così suonerebbero agli orecchi e al giudizio dei Greci e dei Romani, perchè composte di versi e di accenti italiani ed armonizzate con quelle classiche. (Per la morte di Napoleone Eugenio, Alla stazione in una mattina d'autunno).

In Rime e ritmi l'ispirazione fondamentale è data dalla malinconia della vita che volge al tramonto, su cui pesa l'ombra del mistero e della morte.

Fa parte a sè Il Parlamento frammento de La canzone di Legnano che è tra i capolavori del Carducci.

GIOSUE' CARDUCCI

Carducci è indubbiamente il più consapevole nemico della letteratura romantica convenzionale (che si adatta alla realtà di tutti i giorni) ed il maggiore assertore della necessità di rinnovare la letteratura, di opporsi al malcostume. Linea fondamentale della sua poetica è l'attenersi al reale (per il Carducci non è la poesia ispirata ai piccoli fatti quotidiani della vita, nè quella degli scapigliati di cogliere le più nascoste sensazioni dell'io, spesso tenebroso; ma è tutto ciò che ispira forza morale e risanatrice: i sani valori umani, la vita nei suoi aspetti più alti e civili).

Si rinnova così la polemica classico-romantica del principio del secolo: ritiene che i romantici con l'introduzione in Italia delle letterature straniere, anzichè arrecare rinnovamento e libertà nuova, hanno tolto alle menti italiane quello che solo vi rimaneva di italiano.
Combatte il romanticismo, perchè in più espressioni degli scrittori e della vita romantica vede mollezza e non saldezza morale, vede amare il suicidio anzichè affrontare la vita, rinunciare alla lotta anzichè seguire e vivere con dignità e sacrificio.
Sin da giovane, Carducci considera la letteratura strettamente unita al'educazione nazionale, e si foggia, sin d'allora, quell'ideale che lo guiderà per tutta la vita: di ricordare agli Italiani le grandi tradizioni patrie, di cui egli sarà sempre nobile divulgatore e custode. Ed attinge al mondo classico, per formarsi un organismo linguistico solido, retto da una sintesi rigorosa.

L'ETA' DEL REALISMO: LA POESIA PROSASTICA

Esperienza parallela a quella degli Scapigliati, sebbene diversa, di una poesia tutta tesa a sfuggire la vaporosità e i languori in cui era caduto il romanticismo italiano e ad aderire alla realtà, è quella di Vittorio Betteloni che dà inizio alla poesia realistico-borghese: poesia dal tono dimesso, la quale si ispira alla vita di tutti i giorni, ai piccoli soggetti della vita vissuta dal poeta ed alla vita che lo circonda: poesia che tutto dice in forma piana, chiara.

L'ETA' DEL REALISMO: LA SCAPIGLIATURA MILANESE - IL TERZO ROMANTICISMO

Il nome Scapigliatura deriva dalla traduzione del termine francese Bohème (vita irregolare e zingaresca di artisti poveri e misconosciuti) che ne fa Cletto Arrighi. Viene così definita questa corrente letteraria fiorita tra il 1860 e il 1880.

Si tratta di "individui di ambo i sessi, tra i 20 e i 35 anni, pieni d'ingegno quasi sempre; più avanzati nel loro tempo; indipendenti come l'aquila delle Alpi; pronti al bene quanto al male; irrequieti, travagliati, turbolenti..Individui di ogni ceto, di ogni condizione, di ogni grado possibile della scala sociale". Alcuni hanno il volto smunto, solcato, cadaverico, su cui stanno le impronte delle notti passate nello stravizio e nel gioco.

La Scapigliatura è composta da un gruppo di scrittori lombardi, settentrionali, che hanno a Milano il loro luogo d'incontro, sono legati da amicizia e da somiglianza di vita e di costume, e soprattutto da una comune avversione al "Secondo Romanticismo" lacrimoso del Prati e di Aleardi e dall'intenzione di fare oggetto della poesia il "vero", sia quello della natura e della società, sia quello dei sentimenti.

Vogliono essere scrittori di avanguardia, ribelli, nell'arte e nella vita, al cosiddetto spirito borghese e alla letteratura ufficiale, cioè al manzonismo e al suo spirito cristiano, alla retorica patriottica del Risorgimento, ad un Romanticismo ormai infiacchito e convenzionale, ad ogni conformismo letterario o di costume.

Si abbandonano ad una vita moralmente disordinata, spesso dissipata in abbaini, in studioli, in osterie, ubriachi, tendono al suicidio (è un romanticismo esasperato, che da taluni è definito "terzo romanticismo") e tentano di porre in versi e in prosa le impressioni immediate, le sensazioni violente che provano.

E' evidente negli scapigliati l'influsso del Baudelaire e della corrente dei Poeti maledetti (da una lirica di Baudelaire "Benediction" ove la madre di un poeta maledice il momento in cui ha concepito il figlio).
Dal nostro primo Romanticismo li distingue, il loro individualismo anarchico e antiborghese. Essi proclamano che la poesia è rivelazione totale, indipendente da ogni finalità educativa, e denunciano la dolorosa e fatale solitudine del poeta nella società.

Le opere degli scapigliati anticipano due correnti posteriori contrastanti: il Decadentismo e il Verismo.
Del primo, intravedono l'idea della poesia come rivelazione d'una realtà più profonda, fermentate nelle zone oscure dell'essere, alla quale si può giungere solo abbandonandosi all'irrazionale. Del Naturalismo francese, riprendono la rappresentazione oggettiva e anticonformistica del vero morale e sociale, visto come un disfrenarsi di naturalità istintiva. Ma esprimono di essa gli aspetti macabri e ripugnanti, di malattia e di disfacimento o il grigiore di un'esistenza piatta, sfiduciata.

Stilisticamente, gli scapigliati rivelano una tendenza antiletteraria, caratterizzata, anche in poesia, dalla ricerca d'un linguaggio parlato, con frequenti riflussi dialettali, che consente un'adesione al "vero" senza barriere letterarie e culturali. Ma alcuni cercano anche un linguaggio prezioso, comunque lontano dalla tradizione.

LA CRITICA ROMANTICA E FRANCESCO DE SANCTIS

Fino alla fine del '700 la critica dominante in Italia era quella classicista di tipo tradizionale, rivolta a considerare la forma dell'opera d'arte e del contenuto sotto l'aspetto strutturale, secondo precetti e regole.
Il Romanticismo opera un rinnovamento sostanziale nei metodi della critica letteraria; l'interesse dei critici si volge a ricercare i motivi ispiratori dell'opera d'arte, inquadrando le varie espressioni della poesia e dell'arte nella loro epoca, interpretandola secondo le esigenze del pensiero, i motivi di vita, gli impulsi di civiltà caratteristici all'epoca della loro origine.
Ne risulta una storiografia letteraria mirante alla sintesi, tendente ad associare il fatto artistico e quello storico. In pratica la critica romantica porta alla rivalutazione di aspetti culturali, di fatti artistici, di espressioni poetiche prima male valutate e ignorate a causa di pregiudizi di varia natura.
Si scoprono così l'epica medievale, la poesia provenzale, il teatro spagnolo e inglese, le leggende della poesia popolare delle nazioni straniere, soprattutto nordiche.
In particolare il gusto romantico rivaluta il Medioevo e inclina verso le forme d'arte più immediate e ingenue, verso il popolare e il primitivo, e verso il drammatico e il fortemente appassionato.
Il De Sanctis si convince che il criterio per valutare una poesia non è più nelle regole formali, ma bisogna cercarlo nella poesia stessa, perchè è la poesia stessa che offre la possibilità di trarne le regole, non sono le regole a determinare la poesia.
L'opera d'arte non può preporsi uno scopo che sia diverso dall'arte stessa. La forma non è una cosa diversa dal contenuto, quasi un ornamento o una veste sovrapposta ad esso. De Sanctis pone dunque alla base del suo giudizio critico l'affermazione che contenuto e forma sono da considerarsi inscindibili nell'opera d'arte. La forma è generata dal contenuto stesso che diviene attivo nella mente dell'artista ed è compito del critico, giudicare in che misura un qualunque contenuto sia realizzato nell'espressione della società del tempo in cui appartiene, e al di fuori dell'una e dell'altra non potrebbe esistere.
Il De Sanctis una volta che ha vissuto con l'autore, l'opera d'arte, per comprenderla a fondo cerca di stabilire qual è il rapporto che corre tra essa e il momento storico in cui si produce.
La storia della letteratura coincide con la storia spirituale del popolo da cui è espressa e il De Sanctis passa dalla visione analitica a quella sintetica, dai Saggi critici alla Storia della letteratura italiana.
La Storia della letteratura italiana che è considerata da molti come il capolavoro del De Sanctis, non contraddice al criterio che egli aveva seguito nel comporre "i Saggi" per cui non poteva formulare alcun giudizio di ordine generale, ma penetrando in opere singole vi scopre i caratteri storici più notevoli dei loro tempi e proprio perchè le trova così rappresentative le giudica più degne.
Il criterio informatore dell'opera è che la storia è un susseguirsi dialettico di tre momenti: De Sanctis vede rappresentato in Dante e nel medioevo il primo di questi momenti (la tesi) nell'Ariosto e in genere nell'Umanesimo, il secondo (l'antitesi) nell'Alfieri e nella letteratura del Risorgimento il terzo (la sintesi).
Il criterio usato può essere certamente discutibile, ma non si può negare che per la prima volta il De Sanctis attira l'attenzione sulla necessità di considerare la coscienza umana che in ogni epoca è elemento intrinseco della storia letteraria. L'architettura dell'opera appare meno proporzionato se si confronti l'ampia trattazione dei primi secoli e quella alquanto affrettata degli ultimi anni, tuttavia la sintesi rimane valida perchè è vasta e potente.

IPPOLITO NIEVO: CONFESSIONI DI UN ITALIANO

Autore: Ippolito Nievo (1831-1861)
Lingua originale: italiano
Data di uscita: 1867 con il titolo "Confessioni di un ottuagenario"
Genere: romanzo storico
Epoca: vicende italiane della fine del Settecento

LA TRAMA
Giunto all'età di ottant'anni, il nobiluomo Carlo Altoviti, che da ragazzo tutti chiamavano Carlino, racconta insieme la propria vita e uno spaccato di storia italiana. Carlino è già un uomo e ha una carica importante a Venezia quando i francesi invadono prima il Friuli, dove il giovane aveva trascorso l'infanzia, e quindi porgono fine alla millenaria esistenza della Serenissima.
Orfano di una sorella della contessa di Fratta, Carlo trascorre i suoi primi anni nel castello della zia. Si innamora di una cugina, la Pisana, una fra le più belle e inquiete figure della letteratura italiana. Pisana ha un animo generoso e incostante, ama farsi corteggiare, sa tessere intrighi come una donna navigata. Non vuole che nessuno le dica come deve comportarsi: però sarà lei, nei momenti più difficili, a compiere spontaneamente sacrifici che nessuno avrebbe osato chiederle.
Fervente patriota, Carlo Altoviti è coinvolto negli eventi più movimentati della vita nazionale, e corre fra Milano e il Lazio, Genova e Napoli. Nel frattempo l'incostante Pisana si è sposata con un vecchio gentiluomo che non ama, il Navagero, e ha anche altre relazioni. E' però lei a salvare Carlino quando, a Napoli, partecipa ai moti rivoluzionari del 1821 e viene condannato a morte. Lo segue nel suo esilio a Londra, lo assiste amorosamente, per curarlo arriva a chiedere l'elemosina per strada. Ma quando Carlino è colto da una cataratta agli occhi, e si teme che perda la vista, Pisana non resiste più. Muore consunta dalle sofferenze, ringraziando Carlino per il suo affetto.
Altoviti, che la stessa Pisana aveva incoraggiato a sposarsi con Aquilina Provedoni, torna in famiglia, riacquista la vista e riprende casa a Venezia. Là, insieme ai figli, vivrà "nient'altro che di memorie". Ha operato intensamente, può riposarsi. Ma gli affetti domestici non lo distolgono dal ricordo dell'unica donna che ha veramente amato, la capricciosa, infedele, buona, bellissima Pisana.

Carlo Altoviti
Tipico personaggio risorgimentale, Carlo Altoviti è un rivoluzionario, un liberale, un cospiratore mazziniano: atteggiamenti politici che oggi parrebbero un pò confusi, ma che nella sua epoca contribuiscono all'azione per l'indipendenza italiana. Spesso deluso, ripetutamente sconfitto, Carlino non perde mai la sua fede. Il suo ideale romantico si esprime nell'amore verso la Pisana e nell'amore verso la patria divisa, che un giorno sarà unita. Nel romanzo, la sua figura ha particolare vivezza quando l'autore ne descrive l'infanzia al castello di Fratta, piccolo mondo paesano dominato dai capricci della Pisana. Un ambiente che Carlino ottantenne ricorda anche con ironia, ma soprattutto con nostalgia.

Pisana
Fra i protagonisti femminili dell'Ottocento italiano, nessuno ha la sua forza, vivezza, vitalità. E' la prima che mostra di interessarsi all'0rfano Carlino, pur tiraneggiandolo e, a volte, mostrando di trascurarlo. Il bambino la adora e sopporta ogni suo salto d'umore. Gli basta starle vicino, accontentandosi di un suo sorriso. Intelligente ed estrosa, la Pisana non segue nessuna regola e si lascia condurre dalla vita. Sposa un vecchio nobile un pò per capriccio, un pò per far dispetto a Carlo: ma quando l'amico d'infanzia si trova in difficoltà, accorre ogni volta per aiutarlo. Appare, scompare, riappare, sempre ridente e inafferrabile, finchè la durezza della vita travolgerà anche la sua affascinante figura.

IPPOLITO NIEVO

Ippolito Nievo nasce nel 1831 a Padova, quando il Veneto è ancora occupato dagli austriaci. Il suo primo amico è il nonno materno, che ha avuto importanti incarichi sotto Napoleone e agli ordini del governo di Vienna. E' questo vecchio signore, con i suoi racconti, che dà al ragazzo la prima idea del futuro romanzo. Anche il padre di Ippolito è un funzionario ministeriale, che però insegna al figlio i princìpi della libertà e dell'indipendenza che saranno alla base del Risorgimento italiano. così, pur iniziando la sua attività letteraria, Nievo frequenta i patrioti, viene arrestato dalla polizia austriaca, va volentieri con Garibaldi. Scrive le Confessioni tra la fine del 1857 e l'estate del 1958, in appena otto mesi di intensissimo lavoro. Di nuovo fra i garibaldini, partecipa alla liberazione di Palermo, da dove manda lettere entusiaste alla madre e all'amata Bice Melzi d'Eryl, una signora milanese che ispirerà la figura della Pisana. Proprio per raggiungerla, lo scrittore non aspetta una nave sicura e si imbarca su un vecchio e logoro battello che, colto dalla tempesta, si inabissa non lontano da Capri. Garibaldi lo ricorderà "come uno tra i migliori di quella schiera di valorosi compagni ch'egli piangeva perduti nella sua vita di soldato e di cittadino".

DAL ROMANZO STORICO AL ROMANZO PSICOLOGICO

Si verifica la crisi del romanzo storico. Ad esso tende a sostituirsi un nuovo tipo di romanzo costituito da episodi e da personaggi contemporanei, in cui l'autore adombra eventi privati, oppure casi della propria vita e il proprio animo, conducendo di sè uno studio interiore.
Si passa così dal romanzo storico ad un romanzo in cui avvenimenti e personaggi corrispondono a fatti e a figure sempre più reali: dal romanzo storico al romanzo psicologico.
Niccolò Tommaseo (Fede e bellezza)
Giovanni Ruffini (Lorenzo Benoni)

E' con il romanzo Le confessioni di un ottuogenario (Confessioni di un italiano) di Ippolito Nievo che si verifica più chiaramente il passaggio dal romanzo storico a quello autobiografico-psicologico.

Un ottantenne Carlo Altoviti narra i casi della propria vita, che s'intrecciano con eventi storico-politici d'Italia: dal cadere della società settecentesca sotto i colpi delle idee rivoluzionarie sino ai moti del 1820.
Il romanzo è pieno di esperienze e di vicende dello stesso Nievo. Lo anima un dissidio giovanile e che si impone come carattere specifico delle "Confessioni" tanto esso trascorre in tutte le sue parti, permeandone diversi motivi: l'amore appassionato e tormentato di Carlo e della Pisana, l'amore mesto di Lucilio e di Clara, la passione per l'Italia, la rappresentazione del feudalesimo veneto in sfacelo, le molte pagine riflessive ed educative. Ma il romanzo non è unitario.

Contrastano due toni:
- LIRICO-NOSTALGICO (un sereno ricordare visi e sentimenti familiari) dominante nella prima parte del libro, nel racconto della fanciullezza e dell'adolescenza di Carlino, che si svolge nel castello di Fratta tra usanze patriarcali superate dal tempo, sullo sfondo di un antico mondo feudale che è il Veneto prerivoluzionario, guardati dallo scrittore, con occhio nostalgico.
- NARRATIVO-ROMANZESCO accentuato nella seconda parte del romanzo, ricco di colpi di scena, di avvenimenti tempestosi, su uno sfondo di cospirazioni e di dolorosi esili.

Qui la debolezza del romanzo, in questa duplicità di tono, oltre che nell'ncompiutezza dell'elaborazione artistica e formale, cioè nella mancanza della serenità contemplativa, indispensabile per creare un'opera d'arte. Tuttavia le "Confessioni" rimangono uno dei libri più suggestivi dell'Ottocento italiano, ricco com'è di descrizioni piene di freschezza e di rilievo, di sensibilità profonda.

LETTERATURA ROMANTICO-RISORGIMENTALE: IL SECONDO ROMANTICISMO

Svuotatosi, per la delusione della sconfitta di Novara (1849), l'impeto eroico ed ideale che aveva alimentato l'ispirazione della poesia risorgimentale; all'entusiasmo segue la depressione degli animi: in tale periodo di crisi ai temi di amor patrio, che hanno informato il "primo romanticismo" subentrano altre tendenze romantiche: il sentimentalismo malinconico, il languore, il sentirsi vittime del fato, delle contingenze reali, della società. Questa maniera è detta Secondo Romanticismo.
Gli esponenti sono Giovanni Prati e Aleardo Aleardi.

LETTERATURA ROMANTICO-RISORGIMENTALE: IL PRIMO ROMANTICISMO

Lo spirito anticlassicistico vivo negli scritti dei letterati lombardi e il proposito romantico di una letteratura popolare istruttiva trovano ampia espressione nella letteratura del primo Ottocento, che tende a venerare la patria e a saper sacrificare se stessi fino alla morte per lei. Il quale indirizzo è in piena coerenza con il principio della "modernità" dell'argomento. Che cosa di più moderno si poteva infatti contare delle speranze, delle aspirazioni, degli sdegni, delle rivendicazioni, del desiderio di libertà degli spiriti eletti prima, della borghesia poi, e del popolo italiano infine, in quegli anni di lotta sempre più aperta contro lo straniero? Ed è così che la lirica e la produzione teatrale del primo Ottocento, si ispira ad argomenti d'amor di patria, e patriottico si suole pertanto chiamare il "primo" periodo del "romanticismo" italiano.

LA LETTERATURA IN VERSI
Questa si svolge secondo i seguenti indirizzi:
a) poesia romantico-sentimentale d'influsso nordico
b) poesia patriottico-risorgimentale
c) poesia satirico-realistica
Le forme in cui si esprimono gli scrittori sono le romanze (canti popolari), le ballate, le novelle in versi.

a) Poesia romantico-sentimentale
I poeti più vicini alla letteratura nordica prediligono brevi storie d'amore, ricche di sentimentalismo ed avvolte talora in un alone di mistero, d'incantesimo, tinte di tragicità, o storie d'armi e di morte (Niccolò Tommaseo).

b) Poesia patriottico-risorgimentale
E' tutta pervasa di quell'impeto eroico che alimenta gli spiriti liberali italiani dai primi moti rivoluzionari dal 1820 in poi. I suoi autori non scrivono per guadagnarsi gloria letteraria ma per esprimere le loro aspirazioni, il loro odio verso l'oppressore, i loro dolori di esuli, e comunicarli ai loro concittadini per incitare gli spiriti alle rivendicazioni della libertà e all'indipendenza.
"Al fine patriottico soggiacciono tutti gli avvenimenti e i particolari contenuti poetici del Romanticismo; il Medioevo e il passato non sono più guardati per il gusto della rievocazione fantastica, ma per attribuire loro anima moderna e le passioni moderne: in tal guisa il fascinoso mondo medievale in Italia "viene asservito" alla passione patria "e si riempie" del fuoco ardente delle novelle speranze".
Giovanni Berchet, Luigi Mercantini (La Spigolatrice di Sapri), Goffredo Mameli (Fratelli d'Italia).

c) Poesia satirico-realistica
Diversa da quella dei patrioti è l'Italia del primo Ottocento che troviamo rappresentata nella poesia dialettale, la quale costituisce con la sua ispirazione aderente alla realtà la conquista più "significativa" del Romanticismo italiano. E' un'altro volto dell'Italia d'allora: ambienti umili, miserie della plebe, ipocrisie, un vecchio mondo provinciale chiuso nelle sue superstizioni e nel suo egoismo, governanti inetti. Ma nel tempo stesso l'intento satirico politico e sociale, fa rientrare la poesia dialettale del tempo nella fase patriottica del primo Romanticismo italiano.
Si distinguono:
- il milanese Carlo Porta che ritrae in modo umoristico o satirico, disgrazie di poveri diavoli, donne trascinate alla malavita, vita e vizi di ecclesiastici, taverne, catapecchie, luoghi di miseria e palazzi di nobili.
- il romano Giuseppe Gioacchino Belli che ritrae ambienti nobiliari e plebei, la società romana contemporanea, fondata sul privilegio e sull'ingiustizia, al tempo della più rigida reazione sotto papa Gregorio XVI: dal salotto del cardinale alla vita oscura del povero, dal governo pontificio e dai suoi soldati alla plebe.
- il toscano Giuseppe Giusti che si scaglia contro il lassismo delle coscienze e l'inettitudine delle classi dominanti in tono ironico usando un linguaggio e modi vicini al popolo.

LA LETTERATURA IN PROSA
Lo spirito patriottico d'incitamento all'azione o di ammaestramento civile e politico, trascorre vivissimo anche nelle opere in prosa: dal romanzo agli scritti di carattere autobiografico, alla storiografia.
Per la struttura letteraria predominano due tipi di prosa: foscoliana e manzoniana.
- la prosa foscoliana appartiene alla "prosa poetica" nuovo genere letterario nato dalla rivoluzione avvenuta nei generi e negli stili, che così ha dato l'avvio alla mescolanza dello stile della prosa con quello della poesia, creando uno stile nuovo, sussultante, ricco di movimento, dall'espressione indefinita.
- la prosa manzoniana è invece una prosa dall'espressione semplice e piana, che aderisce il più possibile alla parlata comune e tenta di abolire i limiti tra il linguaggio letterario e quello parlato: una prosa inaugurata dal Manzoni; la sua influenza si farà sentire sino ad oggi, insegnando a pensare senza gonfiezza e a scrivere con naturalezza. Nel primo Ottocento incontra particolare favore negli scritti autobiografici e in alcuni romanzi storici.

a) Scritti autobiografici
I memorialisti sono uomini politici o patrioti che hanno lasciato "memorie".
Silvio Pellico (Le mie prigioni), Massimo d'Azeglio (I miei ricordi).

b) Scritti ispirati dall'epopea garibaldina
Giuseppe Cesare Abba (Dal Quarto al Volturno).

c) Il romanzo storico
Sfogo di amor patrio sono gli scritti di carattere narrativo ed in particolare il romanzo storico. I Promessi Sposi sono stati imitati nella lingua ma nessuno è riuscito ad usarla come Manzoni, nessuno sa fondere storia e invenzione. Manca a loro lo spirito manzoniano: manca o difetta la capacità di penetrare a fondo nelle anime, di delineare e far rivivere interiori travagli: di far sentire nelle parole, nelle azioni, quell'alta coscienza umana, che riviviamo nella lettura dei Promessi Sposi.
Tommaso Grossi (Marco Visconti), Massimo d'Azeglio (Ettore Fieramosca).

d) La storiografia
Le opere del Mazzini (Doveri degli uomini) e del Gioberti (Rinnovamento civile d'Italia) appartengono più alla storia politica, economica, sociale ed alla filosofia che alla storia delle lettere.
Contemporaneamente a loro si svolge una storiografia del tempo, tutta di tendenza assoggettata agli ideali del Risorgimento e divisa in due correnti:
- neoguelfa o cattolico liberale che considera l'opera del papato essenziale per la storia d'Italia e per la resurrezione di questa.
- neo ghibellina che vede nel potere temporale del papato una forza nociva, che si oppoone all'indipendenza e all'unità della penisola.
Sono neoguelfi: Carlo Troya, Gino Capponi, Cesare Balbo (Le speranze d'Italia) Cesare Cantù.
Sono neo ghibellini: Giuseppe La Farina, Giambattista Niccolini.
Storici liberi da ogni tendenza: Michele Amari, Carlo Cattaneo.

GIACOMO LEOPARDI: LE OPERETTE MORALI

Le Operette morali sono il suo capolavoro come prosatore e insieme costituiscono il suo sforzo più elevato di elaborazione ideologica.
Gli antecedenti delle "Operette morali" sono da rinvenirsi nelle fitte pagine dello Zibaldone e nell'atteggiamento spirituale maturato con la delusione del soggiorno a Roma: un distacco dalle generose illusioni che avevano nutrito le canzoni civili e la convinzione raggiunta in quegli anni che nella società moderna "vero poeta è colui che medita filosoficamente l'anima, la natura, il mondo".

Le Operette morali (dialoghi o prose di riflessione sulla condizione dell'uomo) sono 24: 19 nel 1824, le restanti 5 in seguito.
Si inizia con Storia del genere umano poetica e sintesi dei concetti che saranno sviluppati nelle altre composizioni. Si finisce con Dialogo di Tristano e di un amico dove quei concetti premono di nuovo, ma con maggiore esperienza e complessità, nel cuore del poeta.
Nelle "Operette morali", che sviluppano i motivi dei piccoli idilli (o del dolore personale) che le precedettero e che contengono l'ispirazione dei grandi idilli (o del dolore cosmico) che le seguiranno, il Leopardi modifica radicalmente il concetto di natura. Finora egli aveva concepito la natura come fonte di felicità umana, dalla quale si allontana l'uomo con il prevalere della ragione e della civiltà, procurandosi un'esistenza infelice. Ora invece rifacendosi al pensiero materialistico del Settecento, il concetto di natura benigna, cede il posto a quello di natura matrigna, indifferente e quindi oggettivamente ostile all'uomo. La natura si presenta al poeta come una entità indifferente, la quale, spinta dalla legge stessa della sua esistenza, la legge di distruzione e di riproduzione, non può che perseguitare i singoli individui di ogni specie, in quanto deve continuamente riassorbirli per assicurare il ritmo e lo svolgimento dell'universo.

Leopardi arriva ad una concezione rigidamente materialistica, nella quale non trovano posto i grandi ideali dell'umanità, la bellezza, la virtù, l'amore, la poesia, il progresso, la libertà, la giustizia. Il suo pessimismo non è più storico, cioè determinato dall'inevitabile decadenza dell'uomo che abbandona lo stato di natura ma è diventato totale, cosmico, perchè investe la stessa natura e l'ordinamento dell'universo e l'essenza stessa della vita degli uomini e delle cose.

Allontanatosi sin da giovane dalla fede religiosa, per aderire ad un sistema di idee meccanicistico, che pure era lontana dall'animo suo ricco di immaginazione, Leopardi non ha saputo vedere oltre la materia, oltre la morte del corpo umano: non ha avuto nè la forza intima di ribellarsi al meccanicismo della filosofia illuministica e credere ad un qualcosa che superi la morte e l'annullamento di tutte le cose; nè ha saputo risolvere spiritualmente il suo problema.

GIACOMO LEOPARDI: I CANTI

Per il loro contenuto e secondo la cronologia di composizione si usa raggruppare I Canti nel modo seguente:

LE POESIE GIOVANILI
(puro esercizio scolastico) Appressamento della morte.

LE CANZONI PATRIOTTICHE
All'Italia, Sopra il monumento di Dante che contengono i sentimenti giovanili del Leopardi sulla condizione dell'Italia del suo tempo.

I PICCOLI IDILLI
(o del dolore personale) L'infinito, Alla luna, La sera del dì di festa.

LE CANZONI CIVILI
(o canzoni del suicidio o del dolore storico) Ultimo canto di Saffo.

I CANTI DELLA DISILLUSIONE
Alla sua donna.

I GRANDI IDILLI
(o del dolore cosmico) A Silvia, La quiete dopo la tempesta, Il sabato del villaggio, Canto notturno di un pastore errante dell'Asia.

IL CICLO DI ASPASIA
A se stesso, sono ispirati al poeta dalla passione violenta e non corrisposta per una donna che egli chiama Aspasia e che sembra sia Fanny Targioni Tozzetti, conosciuta a Firenze nel 1830.

LE CANZONI SEPOLCRALI
Sopra il ritratto di una bella donna.

GLI ULTIMI CANTI
La ginestra, Il tramonto della luna.

Idillio è il diminutivo di una parola greca che significa quadretto, momento poetico.
Nella letteratura greca si dissero idilli le descrizioni in versi della vita agricola e pastorale. Il Leopardi traduce gli idilli di Mosco e ne assimila lo spirito.

Il De Sanctis definisce l'idillio leopardiano "la voce dell'anima nella contemplazione quasi religiosa della natura".
La distinzione tra piccoli idilli e grandi idilli non è del Leopardi, ma dei critici. Egli chiamò semplicemente idilli i cinque componimenti che vanno dal 1819 al 1821. La materia di questi cinque brevi componimenti, dominati da suggestioni autobiografiche, prospetta il dramma di un'infelicità individuale che nessun rimedio vale a cancellare. L'argomento dei grandi idilli si risolve in una serie di variazioni intorno a pochi temi fondamentali: un mesto rimembrare di cose passate, un continuo rievocare la giovinezza perduta, una desolata nostalgia di felicità mai conosciuta, il triste vero che disperde sogni ed affetti.

GIACOMO LEOPARDI: LE OPERE MINORI

Tra le opere minori le più significative sono:

ZIBALDONE: una ricca raccolta (4500 carte manoscritte) di appunti di argomento vario, utilissimi a farci seguire lo sviluppo della mente e della cultura del poeta;

PENSIERI: sono 111, dove i motivi del suo pessimismo e della sua filosofia vengono sintetizzati ed espressi in uno stile stringato e lapidario;

EPISTOLARIO: ha un interesse soprattutto biografico e psicologico; comprende oltre 900 lettere, in cui il poeta, specialmente in quelle indirizzate ai fratelli Carlo e Paolina, e agli amici più intimi come al Giordani, al Colletta, al Ranieri, fa trasparire sinceramente il suo animo in una prosa quasi di getto, più spontanea e meno elaborata che quella delle "Operette morali" e dei "Pensieri";

SAGGIO SUGLI ERRORI POPOLARI DEGLI ANTICHI: scritto in prosa, in difesa della fede cristiana;

DISCORSO DI UN ITALIANO INTORNO ALLA POESIA ROMANTICA: contro le osservazioni di Lodovico Di Breme sulla poesia moderna apparse sul "Conciliatore", egli vi afferma la necessità di imitare gli antichi;

LETTERA AI COMPILATORI DELLA BIBLIOTECA ITALIANA: contro Madame de Stael, in cui difende il classicismo e sostiene che solo la poesia classica è vicina alla natura, mentre la poesia romantica riflette la insincerità della civilizzazione;

PARALIPOMENI DELLA BATRACOMIOMACHIA: a carattere eroicomico. Il Leopardi immagina di aggiungere a quello attribuito ad Omero; l'opera è scritta per satireggiare sia le utopie dei patrioti sia l'intervento austriaco nel regno napoletano per reprimere i moti liberali del 1820;

I NUOVI CREDENTI: contro gli scrittori ottimisti che biasimano il suo pessimismo;

PALINODIA AL MARCHESE GINO CAPPONI: o finta ritrattazione delle sue idee pessimistiche, scritte contro i sapienti del secolo che credono di aver trovato la felicità nella scienza e nelle idee progressiste.

GIACOMO LEOPARDI: LA CONCEZIONE

Il Leopardi è stato nell'infanzia allegro e vivace; ma varie occasioni preparano la crisi del 1819 (abbandona gli studi filosofici e inizia quelli di poesia e di letteratura; passa dalle idee reazionarie all'entusiasmo per la libertà della patria; passa dalla fede religiosa alla concezione meccanicistica del mondo) che lo conduce al pessimismo: la salute malferma dopo anni di studio matto e disperatissimo; il freddo ambiente familiare; la vita di Recanati (natio borgo selvaggio) ostile; un vasto fermento di idee e una insoddisfatta ambizione di gloria, che lo rendono inquieto.

Questo pessimismo passa attraverso tre fasi:
1) soggettiva e personale
2) oggettiva o storica
3) cosmica o universale

Egli prima ritiene l'umanità felice ed egli solo, cadute le illusioni della sua prima età, vittima di un destino avverso (pessimismo personale e soggettivo).
Poi attribuisce la causa del male e del dolore alla ragione umana e alla civiltà che è opera della ragione ed ha cambiato la primitiva condizione degli uomini che vivevano secondo natura, felici delle meravigliose illusioni della loro immaginazione.
La natura è madre benigna, ma la storia degli uomini è tutta una degenerazione da essa e quindi ha portato al mondo il dolore (dolore storico o oggettivo) che è eredità di tutti gli uomini. Poi non è un caso che l'uomo usi la ragione e distrugga le illusioni della immaginazione, giacchè la ragione è per lui la facoltà necessaria: è dunque la natura medesima la causa di ogni dolore, perchè pone in noi il desiderio insopprimibile della felicità e della perfezione e nei limiti che ci assegna ci rende impossibili l'una e l'altra cosa.
Infine il poeta, ormai trasportato dalla forza della sua logica amara, considera ancor più vasta l'azione malefica della natura che per necessità della Legge di distruzione - riproduzione "non gli uomini solamente ma il genere umano fu e sarà sempre infelice. Non il genere umano solamente, ma tutti gli animali. Non gli animali soltanto, ma tutti gli altri esseri al loro modo. Non gli individui, ma le specie, i generi, i regni, i globi, i sistemi, i mondi" (dolore cosmico o universale).

Una ulteriore fase del pessimismo viene accennata in un brano dello Zibaldone: il poeta rivolge un appello agli uomini perchè si stringano in una lotta contro la sola nemica, la Natura, malvagia generatrice di ogni male dell'uomo.
Il De Sanctis dice: "Leopardi produce l'effetto contrario a quello che si propone. Non crede al progresso, e te lo fa desiderare; non credo alla libertà, e te la fa amare. Chiama illusioni l'amore, la gloria, la virtù, e te ne accende in petto un desiderio inesausto. E' scettico e ti fa credente. Ha così basso concetto dell'umanità, e la sua anima alta, gentile e pura l'onora e la nobilita".

ALESSANDRO MANZONI: I PROMESSI SPOSI

Si tratta di un romanzo storico (perchè il poeta traccia un periodo di storia). Il titolo dell'opera è Fermo e Lucia (1821-1823). Insoddisfatto dell'opera la rielabora e lo pubblica con il titolo I promessi sposi, storia milanese del secolo XVII scoperta e rifatta da Alessandro Manzoni: la nuova stesura è molto superiore alla prima.

L'edizione definitiva viene pubblicata tra il 1840-1842 in 54 fascicoli con vari cambiamenti, liberata la lingua da lombardismi e da francesismi per renderla più viva e pura (nel romanzo si usa la lingua dei ben parlanti fiorentini).

Il romanzo è preceduto da una prosa di un Anonimo da cui il Manzoni immagina di aver tratto la materia del suo romanzo. Si è convinti che è un espediente del Manzoni per dare un fondamento di realtà alla vicenda di Renzo e Lucia attorniati da fatti e personaggi storici.

E' il primo romanzo a carattere democratico popolare.
L'azione si svolge dal 7 novembre 1628 alla fine del 1630. Entro queste date si ricorda:
- Papa Urbano VIII Barberini
- Ferdinando II d'Asburgo imperatore del Sacro Romano Impero
- Filippo IV regna in Spagna che governa per mezzo del duca d'Olivares
- Luigi XIII regna in Francia che governa per mezzo del cardinale Richelieu
- La provincia di Milano è sotto la dominazione spagnola. Governa prima Don Gonzalo Fernandez de Gordoba, poi il marchese Ambrogio Spinola
- Federico Borromeo, nipote di San Carlo Borromeo, arcivescovo di Milano.

Son personaggi veri: l'Innominato (Bernardino Visconti), Federico Borromeo, la monaca di Monza (Marianna de Leyva, figlia del signore di Monza), la sommossa milanese, la calata dei Lanzichenecchi, la peste.
sono inventati tutti gli altri personaggi (Don Abbondio, Agnese, Don Rodrigo) ma l'accaduto e il fantastico si fondono in modo perfetto (teoria del verosimile).

Vi è la questione fra i critici circa il vero protagonista del romanzo.
Il Russo riallacciandosi al De Sanctis propone come protagonisti il sentimento dell'artista e il Seicento, con il suo senso del puntiglio e con quello dell'orgoglio;
Il Rizzi propone "un popolo (italiano), soggetto alla duplice tirannia dello straniero e dei prepotenti";
Il Momigliano la Provvidenza divina, sempre presente opera sugli avvenimenti, volgendo il male del mondo in bene.
Altri propongono l'umanità intera, altri lo spirito manzoniano.

La scelta del periodo storico è determinata dal Manzoni dal fatto che: il Seicento è poco conosciuto e quindi si presta meglio ad essere indagato dallo spirito di un poeta; è stata un'età di conquistati, degli umili, della servitù degli Italiani privi di coraggio, paurosi e superstiziosi, sotto un governo basato sul privilegio e sulla ingiustizia.
In tutta la narrazione lo scrittore riflette la sua concezione cristiana del mondo: una concezione in cui i motivi dominanti sono la fede nella Provvidenza e la Carità.

La Provvidenza  è per l'uomo il fondamento e la garanzia dela sua vita morale: per essa si sottrae al peso della solitudine, alla disperata ribellione di fronte alle ingiustizie, alle sopraffazioni della vita quotidiana: essa costituisce la misura delle scelte a cui l'uomo è chiamato, il fermo conforto nei momenti bui e nelle situazioni più penose dell'esistenza. La conclusione del romanzo è emblematica. I due sposi, ormai pervenuti alla felicità di una serena vita coniugale, ripensano sovente al passato; Renzo riconosce i suoi errori che causarono tanti guai; ma Lucia timidamente osserva che lei non ha fatto nulla per attirarsi tante disavventure; la semplice osservazione di Lucia investe il problema di fondo della nostra vita; perchè se di alcuni eventi, prosperi o infausti, noi possiamo riconoscerci responsabili, altri ci sembrano assolutamente indipendenti dalla nostra volontà e dalla nostra condotta. Qual'è la conclusione a cui pervengono i due sposi? "Conclusero che i guai vengono bensì spesso, perchè ci si è dato cagione; ma che la condotta più cauta e più innocente non basta a tenerli lontani; e che quando vengono, o per colpa o senza colpa, la fiducia di Dio li raddolcisce e li rende utili per una vita migliore" (cap.38).

La fiducia in Dio fa accettare anche i mali perchè mandati o permessi dal Signore per i suoi fini misteriosi: perchè il Signore "non turba mai la gioia dei suoi figli, se non per prepararne loro una più certa e più grande".
E nella narrazione manzoniana la Provvidenza è continuamente presente, non solo nei pensieri e nelle parole di alcuni personaggi, ma nelle cose, nel corso degli eventi.

L'altro motivo è la Carità che si dispone nel romanzo su due prospettive fondamentali:
- da una parte essa si traduce in costante disposizione a lottare e operare in difesa della giustizia, della verità, a favore degli umili, degli oppressi, dei perseguitati;
- dall'altra essa si identifica con la pietà, rivolta non solo ai deboli e agli umili, ma anche ai potenti e ai sopraffattori, che con la loro condotta, si esiliano dal regno di Dio.
Non basta, per sentirci in pace con la coscienza, non fare il male occorre invece fare sempre del bene, soccorrere chi ha bisogno, lottare per il trionfo della giustizia, affrontare i prepotenti senza timore a costo di ogni sacrificio personale. E' esemplare il colloquio fra il Cardinale Federigo e don Abbondio: don Abbondio è in colpa non per aver commesso alcunchè di male, ma per non aver agito come era suo dovere, a favore dei due giovani perseguitati. Don Abbondio rappresenta il cristiano comune, conformista, disposto al cedimento e al compromesso; un cristiano che per il Manzoni è la negazione del cristianesimo. Federigo rappresenta la carità operosa, fatta di zelo, di amore, di ferma opposizione ai disegni e alle prepotenze degli oppressori e dei violenti.
La condizione umana si dispone costantemente agli occhi del Manzoni sulle due prospettive della vita terrena e di quella soprannaturale. La vita soprannaturale è per il cristiano la vera vita; la terrena si rivela nella sua essenza di miseria, di insicurezza, di provvisorietà, a cui non si sottraggono neppure i potenti. Caduchi i beni terreni, fragile e fugace la gioia del mondo, effimera la potenza (Napoleone del "Cinque maggio"); perenni e inestimabili i beni dell'anima che soli abilitano alla partecipazione alla patria celeste.

Ma sebbene il Manzoni ricordi che i conti aperti su questa terra saranno saldati nella vita soprannaturale, il suo cristianesimo nel romanzo non si risolve  in una passiva accettazione delle ingiustizie e delle prepotenze, bensì in un costante impegno di lotta.
La vita terrena, ridotta alla sua reale misura di precarietà, riacquista un suo preciso e prestigioso valore: in quanto essa è nella concezione cristiana, il palcoscenico in cui l'uomo cimenta le sue qualità e le sue disposizioni, sperimentando il proprio destino di peccato e di salvezza.
Perciò se la dimora celeste è il costante presupposto della concezione manzoniana dell'esistenza, la vita terrena è l'oggetto concreto della sua ricognizione, della sua interpretazione del reale.
Una funzione essenziale ha nel romanzo il paesaggio, nel quale di solito si riflette, lo stato d'animo dei personagi e si annunciano fondamentali motivi narrativi: dallo squallido paesaggio autunnale descritto al passaggio di frate Cristoforo al celebre "addio monti! in cui le note del paesaggio si confondono con le memorie e le speranze che si intrecciano nel cuore dei viaggiatori con la tristezza presente, ai lugubri paesaggi della campagna e della città sotto l'incubo della peste al mattutino del risveglio di Renzo.
Col romanzo lo scrittore offriva indirettamente alla società contemporanea una lezione politica. Alcuni (democratici) ritennero che il libro sotto il profilo politico svolgesse una funzione negativa in quanto sembrava favorire e giustificare la reazione e la tirannide.
In realtà I promessi sposi prospettando le squallide condizioni della popolazione sotto il dominio spagnolo, rivelavano le gravi conseguenze di ogni dominio straniero di ogni epoca.

ALESSANDRO MANZONI: LE ODI CIVILI

Sono 4: Aprile 1814, Il proclama di Rimini, Marzo 1821, Il 5 maggio.

Sono documenti di amor patrio più che di poesia, dell'ideale unitario e liberale a cui il Manzoni tiene sempre fede, sono la canzone Aprile 1814 (rievocazione dei misfatti napoleonici, speranza di una rinascita della vita politica, sociale e religiosa del popolo italiano: nell'aprile del 1814 entrarono in Milano gli Austriaci) ed il frammento del Proclama di Rimini in cui il Manzoni inneggia al tentativo del Murat di dare unità all'Italia.
Marzo 1821 e Il 5 maggio sono considerate felici e notevoli espressioni poetiche della nostra letteratura romantica.

ALESSANDRO MANZONI: LE TRAGEDIE

Il Conte di Carmagnola  e l'Adelchi scritte in 5 atti ciascuna e in endecasillabi sciolti con l'abbandono delle unità pseudoaristoteliche di tempo e di luogo (con la conservazione dell'unità di azione, dal Manzoni intesa come il significato che il poeta deve trovare e mettere il luce attraverso lo svolgimento dei fatti) e introdotte ambedue da notizie storiche riguardanti gli avvenimenti e i personaggi.

Il Conte di Carmagnola è dedicato al critico francese Claude Fauriel e preceduto, oltre che da "Notizie storiche" sul Carmagnola e su fatti che in esse si svolgono, intese a sostenere l'innocenza del Carmagnola, da una interessante prefazione sulle regole delle unità drammatiche che il Manzoni stima non connaturali all'indole del poema drammatico, in quanto esse "impediscono molte bellezze e producono molti inconvenienti".
E' un episodio della lotta tra Milano e Venezia: l'azione comprende 7 anni (1425-1432). Il capitano di ventura Francesco Bussone, conte di Carmagnola, rifugiatosi a Venezia per fuggire alle persecuzioni di Filippo Maria Visconti al soldo del quale aveva combattuto, viene affidata alla Serenissima la direzione della guerra contro Milano. La battaglia decisiva sui campi di Maclodio (11-10-1427) e la vittoria arride a Venezia. Il conte concede al nemico di potersi riprendere i prigionieri e per questo desta il sospetto di tradimento nel senato veneto che lo accusa, lo processa e lo condanna a morte.

Personaggi storici
il Conte, la moglie Antonietta Visconti, la figlia, il doge Antonio Foscari, i condottieri milanesi e veneziani.
Personaggi inventati
Marco (senatore veneziano amico del Carmagnola), Marino (membro del Consiglio dei 10).

L'Adelchi è dedicato alla moglie Enrichetta Blondel e preceduto da alcune "notizie storiche" riguardanti i fatti anteriori all'azione in essa svolta ed è accompagnato da un ampio "Discorso sopra alcuni punti della storia longobardica in Italia". Carlo Magno, re dei Franchi, ripudia Ermengarda in seguito ad una vertenza col padre di lei, Desiderio, re dei Longobardi, che non vuole restituire al papa Adriano I il territorio tolto alla Chiesa. Adelchi, figlio di Desiderio ed associato al suo regno, pur convinto della ingiusta posizione del padre rimane al fianco suo a combattere una guerra che non sente. Carlo, con l'aiuto del diacono Martino riesce ad attraversare le Alpi e a sconfiggere i Longobardi. Desiderio è fatto prigioniero e Adelchi muore. Intanto Ermengarda, consumata nel dolore del rifiuto avuto, si era spenta a Brescia nel monastero della sorella Ansberga.
L'argomento conprende 3 anni di storia (772-774). Le "sole alterazioni essenziali fatte agli avvenimenti materiali e certi della storia" sono costituite dall'aver fatto morire Adelchi a Verona (mentre in realtà fugge a Costantinopoli da dove tornerà, qualche anno dopo in un disperato tentativo di recuperare il regno che si concluderà con la sua morte) e dall'aver considerato già morta Anna, moglie di Desiderio (che invece morirà prigioniera in Francia).

L'architettura de Il Conte di Carmagnola è ben costruita ma poche volte la rappresentazione è viva, così la tragedia risulta fiacca. I due mondi (quello del male con i politici veneziani, e quello del bene, con il Conte e Marco) sono sun una rigida contrapposizione anche se vi è qualche parte pregevole: quale il soliloquio di Marco, nelle parole rivolte da Marco a Dio perchè permetta a lui, che ha abbandonato l'amico, di vedere chiaramente nel proprio interiore; e le parole del Carmagnola alle sue donne, il suo addio, la sua serena cristiana dipartita dal mondo terreno.

Nell'Adelchi i due mondi sono più avvicinati e dal loro contatto si sprigionano figure e situazioni psicologicamente profonde. Tutti i personaggi hanno un'anima più complessa soprattutto Ermengarda e Adelchi. La tragedia costituisce la migliore manifestazione del genio drammatico del Manzoni e la più alta espressione del teatro romantico italiano.

Le due tragedie sono caratterizzate dai cori (effusioni liriche dei sentimenti patriottici, civili e religiosi che l'azione suscita nel cuore del poeta). Egli li disse "un cantuccio", riservato all'autore per esprimere il proprio giudizio sui fatti e rappresentano, insieme con l'interpretazione dei sentimenti che la storia non può dire, l'apporto soggettivo del poeta che integra il vero storico per rappresentare più interamente la realtà. I cori sono 3:
- uno ne Il Conte di Carmagnola = "s'ode a destra uno squillo di tromba.." in cui depreca la lotta fra le città d'Italia e il sangue fraterno versato.
- due nell'Adelchi = "dagli atrii muscosi.." in cui compiange la condizione servile degli italiani e le loro vane speranze in un'aiuto straniero. "sparse le trecce morbide.." che è il coro di Ermengarda a cui al momento della morte il poeta ricorda che anche "la sventura è provvida" e la speranza cristiana si accende proprio dove quello degli uomini cessa.

TORQUATO TASSO: LA GERUSALEMME LIBERATA

Autore: Torquato Tasso
Lingua originale: italiano
Data di uscita: 1575
Genere: poema eroico, in 20 canti di ottave
Epoca storica: prima crociata (1096-1099)

LA TRAMA
Goffredo di Buglione comanda i crociati che, da sei anni in Terra Santa, assediano Gerusalemme senza riuscire a espugnarla. I più valorosi guerrieri cristiani sono Rinaldo e Tancredi: fra i saraceni, Argante e una donna in armatura d'uomo, Clorinda. La maga Armida mandata dal demonio, attira e cattura un gran numero di crociati; i saraceni stanno per prevalere. Rinaldo libera i prigionieri della maga; Goffredo di Buglione ordina l'assalto finale. Con il favore della notte, però, Clorinda e Argante incediano le macchine da guerra dei cristiani. Tancredi, che è innamorato di Clorinda, la affronta senza riconoscerla e la uccide. Si ricostruiscono le macchine con i legni presi da Rinaldo in un bosco incantato; i crociati muovono in forze contro le mura di Gerusalemme e finalmente la città viene conquistata.

IL PROTAGONISTA
Goffredo di Buglione (Godefroi de Buillon) è veramente esistito. Nasce a Baisy nel 1061 e muore a Gerusalemme nel 1100. Duca della Bassa Lorena è tra i primi nobili ad aderire alla crociata e, per procurarsi il denaro per la spedizione, nel 1095 vende le sue terre. Dopo la presa di Gerusalemme, Goffredo rifiuta il titolo di re e preferisce chiamarsi "difensore del Sacro Sepolcro". Nell'agosto 1099 Goffredo scende ancora in campo e sconfigge ad Ascalona l'armata degli egiziani. Muore poco temo dopo all'improvviso e si dice che sia stato avvelenato dai musulmani. Tasso fa di Goffredo un eroe "senza macchia e senza paura".

LA PROTAGONISTA
Clorinda è soprattutto un'immagine: bella, con le trecce bionde fra le pelli scure dei saraceni, chiusa in un'armatura bianca. Nel momento in cui progetta di incediare la torre di legno con la quale i crociati vogliono attaccare Gerusalemme, Clorinda viene a conoscere la verità delle sue origini. E' una cristiana. La guerriera sente però che deve seguire il suo destino. Dopo aver bruciato la torre è assalita da Tancredi. Il duello è all'ultimo sangue; quando sta per morire, Clorinda chiede di essere battezzata. Amara vittoria per Tancredi.

LA MORTE DI CLORINDA
Chiusa in armi "rugginose e nere" anzichè nell'armatura bianca, per non farsi vedere nell'attacco alla torre cristiana. Clorinda è rimasta sola nella campagna. E' notte. Mentre cerca di entrare in Gerusalemme arriva Tancredi. La spada batte contro la corazza, Clorinda si volta. "Che cosa porti", chiede, "tu che corri in questo modo?". Risponde Tancredi: "Guerra e morte".
Il cristiano scende da cavallo. Non riconosce il guerriero nemico che ha di fronte, vede solo che è a piedi, e vuole combattere ad armi pari. Nessuno parla più. Si gettano l'uno contro l'altra "come due tori gelosi e d'ira ardenti". Con i piedi piantati per terra, senza tentare schivate, calano furiosi colpi di spada; poi si colpiscono con gli elmi e gli scudi. Tre volte Tancredi tenta di rovesciarla; tre volte Clorinda si scioglie dall'abbraccio mortale. Riprendono a colpirsi: finalmente si fermano, appoggiandosi sul pomo della spada.
Hanno il fiato grosso. Tancredi sente che vincerà. E' ferito, ma il guerriero nemico gronda sangue. Vuol sapere con chi sta combattendo. Clorinda risponde sprezzante: non chiedermi niente; sappi soltanto che sono uno di quei guerrieri che hanno incendiato la torre cristiana. Tancredi è ripreso dall'ira. I colpi sono più deboli per la stanchezza. E' giunta l'ora fatale. La spada di Tancredi entra nel petto della guerriera, che cade.
"Amico, hai vinto, io ti perdono", mormora Clorinda. "Perdona anche tu alla mia anima, battezzami". Tancredi è sconvolto. Gli salgono le lacrime agli occhi; si toglie l'elmo e lo riempie d'acqua. Non ha ancora riconosciuto la sua vittima. Quando le sfila l'elmo resta folgorato. Recita la formula del battesimo; nel momento della morte Clorinda sembra trasfigurarsi. Sorride come se dicesse: "Si apre il cielo, io vado in pace". Si è spenta l'ultima stella della notte, nel chiarore del mattino il viso della guerriera si fa più bianco. Alza la mano nuda e fredda verso il vincitore. E' l'ultimo saluto. Rimane immobile, "e par che dorma".

ALESSANDRO MANZONI: LA STORIA DI RENZO E LUCIA

Tutto ha inizio il 7 novembre 1628, quando Don Abbondio, curato di un piccolo paese sul Lago di Como, tornando dalla consueta passeggiata, viene fermato da due sgherri (bravi) di don Rodrigo, signorotto assai temuto del luogo, che gli intimano di non celebrare il matrimonio tra Renzo Tramaglino e Lucia Mondella, due giovani popolani. Don Abbondio, che "non era nato con un cuore di leone", non era nobile e non era ricco, si assoggetta, mentre Renzo, saputo il fatto, non vuole rassegnarsi e cerca ogni via per ottenere giustizia. Ma alla fine, con Lucia e la madre di lei, Agnese, grazie all'aiuto di fra Cristoforo, lascia il paese e si separa poi anche dalle donne. Una serie di situazioni difficili e pericolose aspetta i due giovani: Lucia viene prima rapita e poi liberata dall'Innominato dopo l'incontro col cardinal Federigo; contrae la peste e finisce nel lazzaretto, dopo aver fatto voto di non sposarsi. Renzo capita in mezzo ai tumulti di Milano contro la carestia e si lascia trascinare a parlar male dei potenti; viene scambiato per uno dei capi della sommossa e incarcerato. Liberato, fugge dal Milanese e vi ritorna solo durante la peste per cercare Lucia. Lo spettacolo di morte e desolazione è descritto nei minimi particolari dall'autore. Quando tutto sembra perduto, Renzo e Lucia si ritrovano e, con la benedizione di fra Cristoforo, che scioglie il voto della ragazza, si sposano.

ALESSANDRO MANZONI: GLI INNI SACRI

Dovevano essere 12 ma Manzoni ne compose solo 5: La Resurrezione, Il nome di Maria, Il Natal, La passione, La Pentecoste e i frammeni di Ognissanti.

In ognuno vi sono 3 parti:
- la presentazione del mistero
- la descrizione dei fatti evangelici ricordati
- la preghiera sempre corale ed appassionata

Negli Inni sacri il poeta celebra la recuperata fede e l'opera sublime del Redentore, il senso umano e mistico della liturgia, il carattere profondamente sociale e benefico della religione cristiana: la pietà umana, l'uguaglianza e la fratellanza degli uomini, la pace interiore.

Nei primi 4 Inni questa celebrazione rimane piuttosto esterna e poco poetica; difetta al Manzoni la capacità d'impostare dall'inizio una situazione e svolgerla con sicurezza intorno ad un argomento fondamentale, fino alla fine. Ciò non avviene nell'inno La Pentecoste. Qui l'ispirazione si concentra in una salda costruzione d'insieme, ed i molti motivi convergono tutti verso un unico motivo centrale: la Grazia dello Spirito Santo è necessaria all'uomo; discenda sugli uomini, come una volta discese sugli apostoli.
C'è nell'inno un sentimento fondamentale, una potente unitaria ispirazione che trasfigura e rappresenta pensieri, sentimenti, meditazione storica, fede religiosa, dogma; in esso il fatto biblico è rivissuto dal poeta e rappresentato vivo ed operante in una visione nuova, originale. Nella "Pentecoste" si manifesta il sentimento religioso caratteristico del Manzoni, il quale infonde il divino nell'umano: rappresenta con timidezza la realtà terrena pur mentre l'avvolge d'un'aura oltreterrena, e scorge l'occhio di Dio. La fede di Manzoni non è una dimenticanza di questo mondo, ma la sua sublimazione (diventa un incitamento alla vita spirituale). Il suo è sentimento religioso altamente cristiano ed umano per quel donarsi della fede a tutti; e nel tempo stesso è cristianamente democratico: gli umili, i diseredati sono guardati con carità.

ALESSANDRO MANZONI: LE OPERE DI MEDITAZIONE

Le opere in prosa (opere di meditazione) si possono raccogliere in 4 gruppi:

RELIGIOSE
Osservazioni sulla morale cattolica in cui il Manzoni esalta la morale cattolica; Del sistema che fonda la morale sull'utilità.

STORICHE
Discorso sopra alcuni punti della storia longobardica in Italia; La Rivoluzione francese del 1789 e la Rivoluzione italiana del 1859; Storia della colonna infame in cui si narra il processo e la condanna dei supposti untori durante la peste di Milano.

LINGUISTICHE
Sentir messa, Sulla lingua italiana, Dell'unità della lingua e dei mezzi per diffonderla, Lettera al Casanova: in queste opere il Manzoni sostiene che ogni parte d'Italia e ogni scrittore dovrebbe accettare come unica lingua "il fiorentino parlato delle persone colte".

LETTERARIE
Lettre à Monsieur Chavret sur l'unitè de temps et de lieu dans la tragèdiè, in cui condanna le regole pseudoaristoteliche sull'unità di tempo e di luogo; Lettera al marchese Cesare d'Azeglio sul Romanticismo, Del romanzo storico ed in genere dei componimenti misti di storia e di invenzione.

ALESSANDRO MANZONI: IL PROBLEMA DELLA CONVERSIONE

In Manzoni la conversione fu un fatto di coscienza. Lo stesso "miracolo di San Rocco" è piuttosto vago. Narrava il Manzoni che durante le feste parigine per le nozze di Napoleone con Maria Luisa d'Austria, nel 1810, a causa di alcuni fuochi d'artificio incendiatisi male, la folla fu presa dal panico e fuggì. Nel trambusto il Poeta perdette la moglie e nel cercarla capitò nella chiesa di San Rocco, dove entrò e sentì il bisogno di pregare. Da lì sarebbe uscito convertito. In effetti egli accettava nel 1810 le regole del Cattolicesimo; ma la sua conversione religiosa maturerà e si compirà interamente tra gli anni 1826-1850.

Assai dibattuta e sempre attuale resta la questione sugli influssi giansenistici nella fede manzoniana.
Il Giansenismo è il movimento filosofico-religioso che fa capo all'olandese Giansenio (1585-1638) che nell'Augustinus (pubblicata postuma nel 1640) interpreta in modo eretico la dottrina di Sant'Agostino sulla grazia e sulla predestinazione. In particolare afferma: la necessità di una rigida morale religiosa; la fratellanza degli uomini liberi come figli di uno stesso padre; la salvezza degli uomini eletti dalla grazia ossia la predestinazione.
Si può parlare di una adesione del Manzoni al giansenismo solo se si considera la severa concezione che egli ebbe della vita morale e il suo profondo senso della fratellanza, ma si deve escludere qualunque adesione di Manzoni al contenuto teologico del giansenismo, che fu la ragione della sua condanna.

ALESSANDRO MANZONI: LE OPERE SCRITTE PRIMA DELLA CONVERSIONE

Sono 18 componimenti, fra i quali i Sermoni, il poemetto Urania e il Carme in morte di Carlo Imbonati dove l'Imbonati dopo aver difeso il suo puro amore per Giulia (madre del poeta) dopo avere parlato del mondo pieno di malvagità ed essersi difeso dall'accusa di aver poco pregiato la poesia, indica al giovane quali norme di vita deve tenere sempre presenti: "unità tra il sentire e il meditare", modestia, dignità, possesso sereno e intrepido della virtù.

ALESSANDRO MANZONI: LO SVOLGIMENTO DEL PENSIERO

Alessandro Manzoni muove dalla constatazione che nel mondo dominano il dolore e il male. Mentre il Foscolo attraverso l'attività della vita, si salva dal pessimismo per rifugiarsi nel conforto delle illusioni; mentre il Leopardi indaga ed approfondisce sempre più il dolore; il Manzoni approda ai lidi della salvezza con l'aiuto della Fese. Gli uomini vivono in un'amara contraddizione: da una parte vi è il desiderio di amarsi e di aiutarsi nel cammino faticoso della vita, dall'altra vi è una forza più grande di noi che ci spinge a crearci continuamente guai e dolori e a farci reciprocamente del male. Di fronte a questa constatazione il Poeta prima prova un sentimento di dolore per la malvagità degli uomini, i quali tendono di più verso il male che verso il bene: è questo il momento delle opere giovanili e del prevalere della cultura illuministica francese, meccanicistica e sensista che comincia ad incrinarsi nel Carme in morte di Carlo Imbonati.
Il Manzoni ha un senso di smarrimento, perchè non riesce a comprendere il perchè debba esistere quella contraddizione tra male e bene e debba prevalere il male; si sente impotente di fronte al male: e il momento di maggiore pessimismo, il momento delle tragedie e della prima stesura del Romanzo.
Dal pessimismo egli si libera pian piano attraverso le meditazioni e le conversazioni seguite alla sua conversione che fu per lui una lenta conquista: la concezione cristiana della redenzione dell'Umanità dal peccato, avvenuta mediante l'intervento della Provvidenza divina e con il sacrificio del Cristo, illumina la sua intelligenza e riscalda il suo cuore, diventando la legge della sua vita e della sua arte. Ma questa redenzione operata dal Cristo non si è compiuta una sola volta nella Storia ma opera costantemente nella nostra coscienza, negli individui e nei popoli, ed essa volge il male in bene; nella lotta tra male e bene interviene l'aiuto della Provvidenza divina che rinnova ogni volta il miracolo della Redenzione, la Provvidenza trasforma il dolore nella speranza del premio, placa la drammatica contraddizione della nostra vita dibattentesi fra il male e il bene, dando la certezza del trionfo definitivo del bene su male. Siamo al culmine dell'arte manzoniana; quella della seconda stesura del Romanzo e del "% maggio".

IL ROMANTICISMO IN ITALIA

La caratteristica fondamentale del Romantismo italiano è l'esigenza di una letteratura nuova, popolare. Le prime affermazioni si incontrano dal 1816 in poi, dopo la pubblicazione dell'articolo di Madame de Stael Sulla maniera e l'utilità delle traduzioni. La scrittrice francese invitava gli italiani a liberarsi dai legami della loro cultura, a tradurre e a studiare le grandi letterature d'oltralpe e a rinnovare le lettere. Ne segue un'accesa polemica. All'esortazione della Stael rispondono offesi i nostri classicisti, tra i quali Giordani, dichiarando dannoso ogni suo rapporto con le lettere straniere, in quanto queste la corromperebbero invece di arricchirla. Alla replica della Stael che conoscere i grandi scrittori stranieri non significa imitarli totalmente, i dotti italiani si divisero: sostenitori della Stael, e difensori della tradizione classica. Questi ultimi tra cui Giordani e Monti, hanno come organo ufficiale il giornale austriacante La Biblioteca Italiana; i romantici, il giornale Il Conciliatore di cui il redattore capo è Silvio Pellico e collaboratori come Giovanni Berchet, Confalonieri e Manzoni.

Il loro pensiero si svolge su un piano conciliativo:
- respingono l'imitazione dei classici, pur affermando che devono essere studiati, le regole prestabilite dalla poetica classica, i modelli, le norme pseudoaristoteliche, i modelli letterari immutabili nelle loro forme;
- sostengono la necessità di una letteratura moderna, umana, popolare, accettando in tal modo del movimento europeo romantico i concetti dell'origine della poesia dall'impeto del sentimento, della popolarità dell'opera d'arte che non deve isolarsi in chiusi ambienti accademici, della necessità dello scrittore di cercare gli argomenti dei suoi lavori in avvenimenti contemporanei e di essere interprete dell'anima collettiva, ed il concetto della funzione pedagogica dell'arte: la quale deve essere rivolta ad elevare spiritualmente il popolo e a chiarire problemi ed ideali del tempo.

Tali motivi vengono svolti, prima del "Conciliatore", da Bercher nella Lettera semiseria di Grisostomo sul Cacciatore feroce e sulla Eleonora di G.A. Burger edita a Milano nel 1816. E' una lettera di carattere critico che l'autore immagina di inviare al figliolo la Eleonora e Il cacciatore feroce premesse a due ballate dello scrittore Burger: lettera con cui il Berchet sostiene che si può scrivere poesia anche al di fuori dei modi e dei tempi consueti della poesia classicheggiante e che la sola vera poesia è la "popolare". La Lettera è detta semiseria perchè verso la fine di essa il Berchet assume un tono scherzoso affermando di aver parlato sino a quel momento per spassarsela a spese dei novatori romantici. Nel resto della lettera fingendo di deridere i romantici, deride invece i classicisti e conferma i principi del nuovo movimento.

Nel settembre del 1823 si ha una nuova esposizione dei caratteri e degli ideali del nuovo movimento nella lettera del Manzoni a Cesare d'Azeglio Sul Romanticismo.
Il Manzoni dice che: nel sistema romantico si possono distinguere due parti principali: la negativa e la positiva.
La negativa tende a escludere l'uso della mitologia, l'imitazione servile dei classici, le regole fondate su fatti speciali e non su principi generali, sull'autorità dei retori e non sul ragionamento, e specialmente quella delle così dette unità drammatiche, di tempo e di luogo, opposte ad Aristotele.
La parte positiva del romanticismo si riassume nella formula che la poesia deve "proporsi l'utile per iscopo, il vero per soggetto, l'interessante per mezzo":
- l'utile per iscopo = la poesia deve contribuire ad allargare l'orizzonte del nostro spirito e a migliorarlo: rappresentare le passioni attraverso un processo psicologico e ricavarne un insegnamento morale.
- il vero per soggetto = la verità è l'unica sorgente di diletto nobile e durevole; e per verità Manzoni intende il rappresentare l'uomo nel suo interiore più vero.
- l'interessante per mezzo = per rendere più facili e più estesi gli effetti della poesia si devono scegliere argomenti che interessino tutte le classi sociali; in modo tale che la poesia possa esercitare una larga efficacia sulla coscienza collettiva. L'arte deve avere funzione educatrice.

La polemica non finisce. Nel 1825, in opposto al movimento, Vincenzo Monti scrive il sermone Sulla mitologia, combattendo le esasperazioni del Romanticismo.

I CARATTERI DEL ROMANTICISMO

Il Romanticismo è il movimento ideologico che afferma i diritti del sentimento e quindi della originalità e della libertà. Si oppone all'Illuminismo per i seguenti motivi:

- alla fede assoluta nella ragione umana contrappone il diritto del sentimento e della fantasia
- al deismo, all'agnosticismo e all'ateismo o materialismo, un profondo bisogno di interiorità e di religiosità
- all'antistoricismo un vivo senso della storia per cui ogni momento è legato al precedente ed ha in sè i germi del futuro
- all'ottimismo, un cupo pessimismo sulle possibilità dell'uomo
- al cosmopolitismo, il sentimento nazionale
- al filantropismo e all'umanitarismo la convinzione della naturale solitudine dell'uomo e della sua incapacità di comunicare.

ILLUMINISMO                    ROMANTICISMO
ragione                                    sentimento
deismo                                     teismo
antistoricismo                       storico
ottimismo                               pessimismo
cosmopolitismo                     nazionalità
umanitarismo                       solitudine

IL ROMANTICISMO: LE ORIGINI

La prima affermazione del movimento si ha in Germania ed è dovuta ad un gruppo di scrittori che si raccolgono intorno alla rivista Athenaeum cui fu pubblicato dal 1798; 1798-1802 per l'Inghilterra, con la pubblicazione del programma romantico in appendice alle "Lyrical ballads" di Coleridge e Wordsworth; 1803 per i paesi scandinavi; il 1810-1813 per la Francia con l'analisi del romanticismo tedesco da parte di Madame de Stael nel volume "L'Allemagne"; il 1816 per l'Italia con la pubblicazione della "lettera semiseria" del Berchet e con le discussioni provocate da una lettera aperta di Madame de Stael agli studiosi italiani sull'utilità delle traduzioni delle letterature straniere moderne.

Queste date hanno un valore formale in quanto il movimento ha origine da un lungo travaglio spirituale assai anteriore ad esse; tuttavia sono significative, perchè dimostrano con la rapidità con cui si susseguono come gli animi eletti di gran parte d'Europa siano spiritualmente maturi all'inizio dell'Ottocento alle nuove concezioni di vita che si sono venute formando e concentrando precedentemente e, nel secondo Settecento.

IL ROMANTICISMO: IL PREROMANTICISMO

Alla fine del Settecento in Europa (Inghilterra, Germania) si sviluppa una nuova sensibilità, quasi opposta a quella dell'Illuminismo. Questo movimento è chiamato Preromanticismo perchè costituisce la premessa del Romanticismo.

Il Preromanticismo è in contrasto con l'ottimismo dell'Illuminismo che si fondava sulla piena fiducia nella razionalità e nell'applicazione di essa ai rapporti umani, ritenendola capace di produrre un rinnovamento della vita sociale e di garantire agli uomini la felicità.

La nuova letteratura è caratterizzata dall'esaltazione dell'individualità singola e del sentimento, della confessione dell'io, ripiegato in una malinconica solitudine, pervaso da una concezione pessimistica della realtà.

La tristezza e l'inquietudine  preromantica si esprimono in visioni notturne, lugubri, sepolcrali, in meditazioni meste sulla morte, e anche in una nuova visione della natura, che viene sentita come forza arcana e misteriosamente consonante col cuore dell'uomo. Notevoli sono gli idilli di vari scrittori. Entusiasmo maggiore suscitarono i Canti di Ossian di Giacomo Macpherson.
Tutti i testi furono tradotti in italiano e diffusero fra noi la nuova moda lugubre. Fra gli italiani troviamo Melchiorre Cesarotti traduttore dei "Canti di Ossian" e Alessandro Verri.